La fine di questa parte del viaggio e’ stata preannunciata dall’immensa figura dell’Ayers Rock, non immaginavo infatti che fosse cosi’ grosso (9 Km di circonferenza per 348 mt di altezza).

Stiamo stati scaricati da Roger nel campeggio vicino ad Uluru (il nome aborigeno di Ayers Rock), avremmo dovuto aspettare un paio d’ore l’arrivo del nuovo gruppo a cui ci saremmo aggregati per 3 giorni.

Dopo una veloce doccia (ne sentivo il bisogno dopo 2 giorni passati nella polvere), abbiamo incontrato la nuova guida Mick e i nuovi compagni di viaggio (siamo passati da 8 a 22 persone).

Dopo un pranzo a base di sandwich, ci siamo diretti verso le Olgas (Kata Tjuta) per fare una camminata in mezzo alle gole di questa strana formazione rocciosa.

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In questa occasione ho avuto modo di conoscere una delle piu’ grandi paure degli australiani e cioe’ il sole; quando si doveva scendere dal pulmino, anche per fare una brevissima camminata tutte le persone si cospargevano di crema solare protezione 15 (tutti i pulmini ne avevano un barattolone), pare infatti che sopra l’Australia il buco dell’ozono sia particolarmente accentuato e che la percentuale dei tumori alla pelle sia tra le piu’ alte al mondo.

Verso le 18 ci siamo preparati ad assistere al tramonto sul roccione rosso, per chi non lo sapesse l’Uluru ha la particolarita’ di cambiare sfumatura di rosso a seconda della luce che si rifrange sulla sua roccia, mi sono preparato con cavalletto e macchina fotografica cosi’ mentre si brindava con lo spumante ho scattato una trentina di foto, le ragazze americane di fianco a me pensavano fossi un po’ matto a scattare tutte quelle foto ad un roccione.

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La sera dopo cena ci siamo riuniti davanti al fuoco (non per scaldarci visto che da quelle parti fa molto caldo anche la notte) e abbiamo provato uno strumento musicale aborigeno: il Dijerido, si tratta di un lungo (80-100 cm) ramo svuotato, per suonarlo bisogna appoggiare la bocca ad una estremita’ e far uscire l’aria con uno strano movimento delle labbra; alla fine dopo un po’ di tentativi siamo riusciti tutti ad emettere qualche suono.

La mattina seguente dopo la solita levataccia alle 4.30 siamo tornati all’Uluru, si trattava di scegliere tra la scalata al monte (che e’ molto impegnativa, nel primo tratto bisogna addirittura aggrapparsi ad una catena) o il giro a piedi alla base.

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Con altri 3 ragazzi abbiamo optato per il giro, questo perche’ gli aborigeni considerano l’Uluru una montagna sacra e quindi chiedono di non scalarlo. Dopo aver scaricato gli scalatori siamo andati ad assistere al sorgere del sole, a dir la verita’ l’ho trovato meno emozionante del tramonto visto che la parte della roccia che si ammira e’ meno fotogenica dell’altra.

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Seguendo il sentiero che corre attorno alla montagna, si possono osservare varie grotte e luoghi sacri; mi sono rimasti impressi in particolare un’immensa grotta che ricorda la bocca aperta di un pescecane e il "cervello" di Uluru. Alcuni punti hanno un significato particolare per gli aborigeni e i cartelli chiedono di non scattare foto.

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Oltre al caldo da queste parti, si cammina con la spiacevole compagnia delle mosche, alcune persone portavano addirittura dei cappellini con la retina che piu’ avanti mi sarei pentito di non aver comprato.

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