5° GIORNO
Dopo aver visitato altri due complessi minori alla periferia della città (anch’essi molto suggestivi), di cui uno costruito dai fedeli giainisti, ho preso nel primo pomeriggio un altro autobus che in quattro ore che mi ha portato a ben 80 Km di distanza, a Mahoba dove ho atteso per altre 5 ore il treno, in una affollata stazione in cui ogni mezz’ora saltava la luce e si rimaneva per altrettanto tempo nel buio più completo.
Alle 22 sono riuscito a partire per il mio primo viaggio notturno che il mattino seguente mi avrebbe condotto nella città più sacra, e forse più bella, di tutta l’India, Varanasi (prima conosciuta come Benares), la città di Shiva.
6° GIORNO
L’impatto con Varanasi e’ incredibile; strettissime vie si incrociano in una ragnatela di antichissime case, baracche, bancarelle e templi; e’ difficile non perdersi, ma c’e’ una cosa che permette di ritrovare sempre l’orientamento, il maestoso fiume Gange. Basta, in ogni momento, seguire la direzione della massa di uomini, donne, bambini e vecchi Sadhu (coloro che abbandonano ogni bene materiale per dedicarsi completamente agli dei), che si può star sicuri di ritrovarsi lungo la riva del grande fiume sacro.
Qui iniziano i chilometri di ghat (porticcioli) che si stendono sul lungo-fiume, dove migliaia di fedeli ogni giorno eseguono le quotidiane abluzioni , e ogni notte vengono celebrati i tradizionali riti funebri di coloro che sono “riusciti” a venire a morire qui; infatti, ogni indù che trapassa a Varanasi automaticamente si sottrae al doloroso ciclo delle reincarnazioni (samsara) raggiungendo la liberazione eterna (moksha).
Anche di sera la città e’ estremamente vitale, con tantissime persone che passeggiano sulle strade principali e sui ghat; inoltre Varanasi è molto conosciuta per la lavorazione della seta e ritrovano stupendi sari e pashmine ad ottimi prezzi.
7° GIORNO
Mi sono svegliato alle primissime luci dell’alba per effettuare l’attività più turistica, ma, sicuramente anche la più suggestiva della città, il giro in barca (a remi) sul Gange.
L’alba è senza dubbio il momento migliore per fare questa attività, sia per motivi climatici, sia perché questo è il momento in cui una marea di indù si recano sulle decine di magnifici ghat per eseguire le abluzioni, per pregare o semplicemente per…lavarsi i denti (in quello che, forse, è il fiume più inquinato del mondo!). E’ veramente uno spettacolo umano di rara bellezza incorniciato da musiche, fiori e dalle immancabili vacche sacre che sembrano non curarsi molto di ciò che le circonda. Ancora si vedevano i fumi delle cremazioni avvenute nella notte e migliaia di fiori gialli e rossi buttati nel fiume come offerta agli dei.
Il resto della giornata l’ho passata a passeggiare lungo i Ghat fino a raggiungere la grande Università di Varanasi (per vedere come studiano i miei colleghi indiani
J).
Verso sera sono tornato alla stazione per prendere il treno per la “città della gioia”, Calcutta, dove sarei arrivato il mattino seguente.
8° GIORNO
Dopo una notte attraverso il Bihar, lo stato più povero dell’India, durante la quale sono saliti sul vagone strani personaggi travestiti e truccati da donna, con tamburelli e flauti…con circa 4 ore di ritardo sull’orario previsto sono finalmente giunto a Calcutta, nell’immensa stazione di Howrah, dove per anni sono arrivati, carichi solo di speranze, milioni di disperati contadini dal Bihar, dall’Orissa o da altre regioni colpite dalle siccità o da terribili monsoni, alla ricerca di una salvezza dalla fame.
Questa metropoli, resa quasi leggendaria dai libri di Lapierre e dalle opere di Madre Teresa, ti porge sin dal primo momento il suo biglietto da visita, fatto di lebbrosi che chiedono la carità, di bambini soli sdraiati per terra nella stazione o intenti a raccattare tutto ciò che viene buttato dai treni sulla ferrovia, di risciò trainati a mano da piccoli uomini con una resistenza fuori dal normale.
Uscito dalla stazione sono andato a prendere il piccolo traghetto che fa la spola tra la riva ovest e la riva est del fiume Hoogly, dove si trova il centro cittadino.
Si passa quasi sotto al famoso Howrah Bridge, considerato il ponte più trafficato al mondo (vi transitano ben 100.000 veicoli al giorno, più un’incalcolabile fiumana di pedoni), quasi nascosto da quella che a prima vista sembra nebbia, ma poi si scopre essere smog, una delle grandi piaghe di Calcutta (ma anche di altre metropoli indiane).
Arrivato dall’altra parte del fiume, ho avuto la grande sorpresa di trovare una città alquanto europea, con grandi palazzi vittoriani, larghissime strade con semafori e strisce pedonali (i primi da quando ero in India) e finalmente dei marciapiedi!
E’ ben visibile, qui, l’influenza colonialista inglese (infatti Calcutta fu fondata proprio dall’impero britannico nel ‘600).
Trovato un alberghetto, sono andato subito a Sudder street, dove si trovano decine di ottimi bar e ristorantini, e punto di ritrovo per tutti i viaggiatori.
9° GIORNO
Ho iniziato la visita della città percorrendo Chowringhee road, l’arteria principale del centro cittadino, sede di tutti gli uffici delle compagnie aeree, dove ho acquistato ad un prezzo stracciato un biglietto da Kathmandu a N.Delhi con l’Indian Airlines (per poter, nei giorni seguenti, viaggiare con meno fretta); continuando a macinare chilometri sotto un sole cocente, peggiorato dall’altissima umidità e dall’inquinamento, sono arrivato a sud del centro dove ho visitato il tempio di Kali, il più importante della città, dove a fianco si trova l’Hospital for the dying destitute di Madre Teresa.
Tutt’intorno un dedalo di disperati e lebbrosi in cerca di un sostegno e di un aiuto concreto.
Per ritornare nella zona nord ho usufruito della moderna (anche se molto essenziale) metropolitana (l’unica dell’India), finita di costruire pochi anni fa, che lascia quasi increduli in una città del genere.
Stufo del caos, dello smog e dell’incredibile traffico cittadino, sono entrato nell’ enorme “polmone verde” di Calcutta, il cosiddetto Maiden, tre chilometri quadrati di parchi, club sportivi, laghetti e…pascoli per le mucche.
Qui si trovano l’immenso Fort William e un enorme museo in marmo bianco, il Victoria Memorial.
Proseguendo verso l’estremità nord del parco, sono arrivato agli Eden Gardens, un vero e proprio gioiellino botanico, dove tra minuscoli laghetti, una fittissima vegetazione ed una pace quasi irreale, si trova una piccola pagoda “importata” fino a qui dalla Birmania nell’800.
La sera stessa sono salito sul treno che mi avrebbe portato verso il nord dell’India, ai piedi dell’Himalaya.