TESINA SULL'ISOLA DI PASQUA

 

Introduzione

All'origine l'Isola di Pasqua non aveva nome, essendo l'unico mondo conosciuto dai suoi abitanti, i quali, dopo il loro misterioso arrivo - da levante o da ponente? - non si erano mai spinti oltre.

Per un certo periodo la minuscola isola viene chiamata "Te-Pito-te-Henua", che significa "fine" o "frammento della terra" e che taluni traducono con "ombelico del mondo". Un altro nome è "Mata ki te Rangi", gli "occhi nel cielo", ma la definizione più comune diventa Rapa Nui, la "Grande Isola", nel senso di "importante".

La Storia

Gli antropologi hanno trovato in Polinesia tracce di insediamenti umani a partire dal 1200 a.C.
Le Isole Marchesi vengono popolate nel 300 d.C. e l'Isola di Pasqua nel 400 d.C. circa.
Il primo periodo evolutivo di Rapa Nui si svolge tra il V e l'XI sec. d.C., seguito da un periodo di grande sviluppo tra il XII e il XV secolo, con punte massime di popolazione fino a 15mila abitanti.
La decadenza coincide in pratica con l'arrivo degli esploratori occidentali, quando la popolazione scende a meno di mille persone. Sulle cause del definitivo collasso dell'isola, nel XVIII secolo, vi sono diverse ipotesi: eccessiva deforestazione, mancanza di risorse idriche e alimentari, guerre fratricide, epidemie o forse tutto ciò insieme.
Raccogliendo i dati sui "capi supremi" dell'isola, così come vengono tramandati dagli indigeni, si contano dal XII al XIX secolo 30 generazioni di re storici, calcolando in media 25 anni di regno per ciascuno.
Le tribù principali sono state sempre due, ostili tra loro, e suddivise a loro volta in dieci sotto-clan familiari chiamati "mata-iti".

La leggenda

Secondo la leggenda, i primi abitanti giunsero da un'isola chiamata Marae-rengo o Hiva, situata ad occidente.
Da quelle terre partì un re, Hotu-Matua, insieme alla sua tribù, portando con sé animali, alberi, semi di frutti e fiori che vennero piantati sull'Isola di Pasqua, dove approdarono dopo un lungo viaggio in canoa.
Le ragioni di questa emigrazione, presumibilmente dalla Polinesia, sono ignote: rivalità tribali, carestie, catastrofi naturali o eccesso di popolamento?
Alla sua morte Hotu-Matua divise il regno tra i figli e così iniziarono i primi conflitti tra le tribù.
Vigeva una rigida gerarchia: al primo posto c'era il re (ariki-mau) dai poteri divini, poi vi erano i sacerdoti (ivi-atua), i nobili (ariki-paka) e i guerrieri (matato'a).
Gli artigiani formavano una classe a sé: il mito racconta che furono gli "Uomini dai Lunghi Orecchi" a costruire inizialmente i Moai, sconfitti poi dagli "Uomini dai Corti Orecchi".

Guerre tribali

Una leggenda di Rapa Nui dice: l'isola era dominata dai "Lunghi-Orecchi" che fecero costruire i "Moai" e gli "Ahu" ai "Corti Orecchi", loro schiavi.
Un giorno i "Lunghi-Orecchi" ordinarono ai "Corti-Orecchi" di gettare tutte le pietre in mare, ma i "Corti-Orecchi" si opposero perché le pietre aiutavano a far crescere le patate e la canna da zucchero, unica fonte di sostentamento.
I "Lunghi-Orecchi" decisero allora di uccidere tutti gli schiavi e di mangiarseli.
Ma il piano fallì e, al contrario, i "Corti-Orecchi" riuscirono ad uccidere e bruciare i crudeli "Lunghi-Orecchi" e divennero padroni dell'isola.
Gli scavi archeologici hanno messo in luce un'immensa trincea con un grosso strato di cenere e carbonella che potrebbe essere il luogo della mitica fine delle "Lunghe Orecchie".
A sostegno della sua tesi sull'origine amerindiana dei pasquensi, Heyerdahl ricorda che già gli Incas parlano di un popolo dalle "grandi orecchie" che sarebbero gli artefici delle colossali statue abbandonate nelle Ande.

Il cannibalismo

I pasquensi - chi vergognandosi e chi divertendosi - chiamano i loro antenati "kaitangata", "mangiatori di uomini". Non sono così lontani i tempi in cui gli abitanti dell'isola praticavano l'antropofagia, visto che l'ultima notizia risale al 1903, quando vennero mangiati alcuni guardiani della Compagnia inglese che sfruttava l'isola. Anticamente il cannibalismo aveva funzioni rituali: quando moriva un re, il figlio doveva nutrirsi della carne del padre - cervello, occhi, naso, bocca e lingua - per appropriarsi del "mana" che risiede nella testa e che gli dona il potere. Un altro tipo di cannibalismo è l'antropofagia bellica: mangiare il proprio nemico vuol dire annientarlo definitivamente e non vi era insulto più grave che rivolgersi con la bocca aperta verso i prigionieri sopravvissuti dicendo: "la vostra carne mi è rimasta tra i denti". Impegnati in guerre sempre più violente, tralasciando il lavoro agricolo, i pasquensi soffrivano di scarsità di cibo e la carne umana diventava un elemento fondamentale per nutrirsi. Dai ritrovamenti archeologici risulta che, intorno alla metà del Seicento, i consumi di carne animale diminuiscono, mentre aumentano quelli di carne umana. 

La lingua e il "rongorongo"

Il rapanui fa parte del ceppo linguistico chiamato "austronesiano", che tra Asia e Polinesia conta circa 800 idiomi. Il rapanui deriva probabilmente dal polinesiano arcaico, sviluppando, a partire dal VI sec. d.C., delle parole esclusivamente proprie. Ma anche studiando la lingua rapanui, a tutt'oggi non si è riusciti a decifrare le poche tavolette disegnate e incise sull'isola, chiamate "ko hau moto mo rongorongo" (linee di scrittura per recitazione). Ai nostri giorni rimangono soltanto 21 tavolette, con un totale di 14.021 caratteri, scampate alla furia dei missionari che, reputandole oggetti idolatri, speravano - distruggendole - di facilitare la conversione al cristianesimo. In seguito, fu proprio il vescovo di Tahiti Jaussen a capire la loro unicità e salvarle, tentando una prima interpretazione. Dalle tradizioni orali sappiamo che le tavolette venivano usate durante i cerimoniali ed i cantori, brandendole, probabilmente sottolineavano i punti salienti degli inni. Anche i sacerdoti utilizzavano i "rongorongo" per lanciare o togliere maledizioni. 

Gli "Ahu"

Gli "Ahu" sono delle piattaforme adibite a centri cerimoniali. Il più delle volte servivano come piedistallo per i Moai, ma si conoscono anche Ahu concepiti senza statue. Le piattaforme in pietra basaltica potevano raggiungere i 150 metri di lunghezza per 3 metri di altezza. Su una terrazza vicina all'Ahu, venivano esposti i corpi dei defunti per due o tre anni. Poi venivano seppelliti in una delle celle sotto la rampa che portava alle statue. La credenza voleva che il defunto vagasse intorno alla piattaforma e - ricevuti i doni di rito - sarebbe partito per il "po" (la notte), luogo da dove erano partite le navi degli antenati. 
Il culto dell'uomo uccello
L'uovo è l'incarnazione del dio Make-Make, al quale era dedicata la cerimonia dell'"Uomo-Uccello", "tangata manu". Il centro del rituale era il villaggio di Orongo, abitato esclusivamente in occasione della festa autunnale, situato sul bordo del cratere Rano-kao, in mezzo ad un ammasso di pietre incise con raffigurazioni dell'uomo-uccello. I guerrieri (matato'a), aspiranti al titolo di "Uomo-Uccello", inviavano un loro servo ("hopu") sullo scoglio di Motu-nui, a breve distanza dalla costa, per osservare il volo degli uccelli "Manu-tara" e per segnalare il momento della deposizione delle uova. L'"hopu" che per primo scopriva l'uovo urlava una formula rituale al suo padrone e, legatosi l'uovo sulla fronte, raggiungeva a nuoto l'isola, schivando le onde e gli squali. 
Cioè: Ogni anno i giovani più vigorosi si gettavano nei flutti dalle scogliere di Orongo e a nuoto raggiungevano l'isolotto di Motu-nui ove era stato nascosto "il primo uovo di Manutara". Quindi, sempre a nuoto, portando l'uovo in mano, dovevano ritornare indietro e consegnare l'ambito trofeo al capo del villaggio. Dovevano nuotare fra i marosi, evitando gli scogli aguzzi e cercando di distanziare gli avversari, stringendo un uovo in mano senza schiacciarlo. Il vincitore posava l'uovo sul capo del guerriero che diventava l'"Uomo-Uccello", una prova tutt'altro che semplice. E che spesso terminava con la morte di uno o più partecipanti. Ma al vincitore spettava nientemeno che, per un anno, "il favore degli dei". Che non era cosa da poco, in un'isola altamente religiosa. In più, e anche questo era un dettaglio tutt'altro che trascurabile, l'uomo-dio dell'anno acquistava un grandissimo potere politico.
Rarissime volte, lo stesso "hopu" poteva aspirare a questo titolo. Tra i privilegi dell'"Uomo-Uccello" c'era quello di dare il proprio nome di investitura al nuovo anno e di essere mantenuto a carico completo della tribù. Dopo le feste, altri ragazzi potevano cercare uova o pulcini sull'isolotto: le uova - sacre - venivano offerte agli dei, mentre i pulcini erano allevati e poi liberati con la formula "vola lontano su altre terre". Il primo rito dell'"Uomo-Uccello" risale al periodo di decadenza intorno al XVI secolo, mentre l'ultimo cerimoniale si svolse nel 1878. 

Le cave


La cava di tufo dalla quale provengono la maggior pare dei Moai si trova sul vulcano Rano Raraku. Nella cava sono stati scoperti 394 Moai che presentano diversi stadi di lavorazione. Dalle ultime ricerche archeologiche risulta che l'inizio dello sfruttamento della cava risale al X secolo, anche se il "periodo d'oro" va dal XII al XVI secolo. I grandi cappelli di cenere vulcanica rossa provengono invece dal monte Punapau che Métraux chiama, a causa del suo colore, "una piaga sanguinante in mezzo ai pascoli". Sull'isola esistono anche diverse cave di ossidiana, un materiale vulcanico nero che serviva per fabbricare le armi e gli strumenti da lavoro. 

Il trasporto dei Moai

I pasquensi raccontano che i Moai si muovevano grazie al "mana" del mitico capo Tuu-ko-ihu, che faceva camminare le statue. La studiosa che per prima si è posta il problema, Katherine Routledge, sostenne che l'erezione dei colossi avveniva mediante delle rampe costruite con ciottoli arrotondati, rese scivolose da una patina di patate schiacciate per non danneggiare la statua. La messa in posa finale sarebbe stata possibile grazie a delle leve di legno. La tesi era avvalorata dal ritrovamento di alcune rampe di pietra sui fianchi delle piattaforme. Secondo Alfred Métraux i Moai venivano trascinati su dei tronchi - legno portato dal mare, visto la scarsità degli alberi - utilizzati come rulli. Durante la spedizione norvegese di Thor Heyerdahl, l'archeologo statunitense Mulloy ha sperimentato il "viaggio" di un Moai: con l'aiuto di una dozzina di pasquensi si è riusciti a spostare, in 18 giorni, una statua alta 4 metri e pesante 10 tonnellate. Secondo Mulloy gli antichi costruivano una slitta di legno dove il Moai veniva appoggiato sul ventre. Posizionata una forcella sulla statua, veniva fatta passare una corda intorno al collo del colosso e poi fissata al vertice dei pali. Tirando la forcella in posizione verticale, il Moai si sarebbe spostato in avanti, aiutato dalla slitta. Continuando le oscillazioni, la statua avrebbe "camminato" fino alla destinazione finale. 

Navigatori ed esploratori

 

Polemiche sull'origine

L'archeologia moderna sta tentando di risolvere l'enigma di Rapa Nui. La teoria di Heyerdahl circa l'origine andina è in parte caduta o, comunque, si è trovato un compromesso durante il Congresso Scientifico del Pacifico nel 1961. Le fasi migratorie sarebbero due: una proveniente dall'Asia e dalle isole della Polinesia, l'altra dall'America del Sud. Nel 1988 una spedizione spagnola ripeté l'esperimento di Heyerdahl, partendo dalla costa del Perù su una barca di giunco degli Indios del Lago Titicaca e giunse dopo tre mesi in Polinesia. Gli ultimi studi genetici sul DNA mitocondriale delle ossa e le ricerche sui crani hanno rivelato affinità tra i pasquensi e i polinesiani, ma non tra pasquensi e amerindiani. Di contro, le analisi del sangue eseguite dai Commonwealth Serum Laboratories di Melbourne hanno confermato delle affinità tra rapanui e indigeni del continente americano. Dall'antropologia fisica degli scheletri risulta un miscuglio di diversi gruppi etnici e probabilmente i primi coloni di Rapa Nui erano già frutto di incroci tra varie popolazioni del Pacifico. Gli esami con il Carbonio 14 datano i più antichi reperti intorno al 690 d.C. con lo scarto - in più o in meno - di un secolo, per cui l'arrivo dei primi abitanti sarebbe avvenuto intorno al V-VI sec. d.C. 

Uno sguardo sull'isola

All'isola di Rapa Nui manca una barriera corallina e quindi le coste sono fortemente erose dall'azione del mare. I materiali vulcanici sono molti fragili, per cui gli archeologi da tempo cercano dei rimedi per salvare il patrimonio dell'isola. Per proteggere le statue dall'erosione, lo studioso cinese Sinoto sta sperimentando il "parabond", una sostanza chimica. Dal 1935 le zone archeologiche dell'isola sono Parco Nazionale. A partire dagli anni Sessanta, missioni del Cile, degli USA, della Spagna e della Norvegia hanno scavato e restaurato numerosi Ahu, case e villaggi - tra cui il centro rituale ed i petroglifi di Orongo - e molti Moai sono stati ripuliti dai licheni, ricomposti e innalzati. Recentemente sono iniziati sull'isola gli studi di biologia scheletrica e di paleopatologia delle sepolture multiple di Tongariki, condotti dalla Fondazione Ligabue di Venezia in collaborazione con il Cile. Le analisi sui circa 80 scheletri, risalenti al XII secolo, stanno dando risultati fondamentali per la conoscenza sull'origine genetica dell'antica popolazione pasquense. 

Uno sguardo dall'isola

Durante la spedizione del 1955 di Thor Heyerdahl, un giovane rapanui, Sergio Rapu, aveva aiutato gli archeologi nelle loro ricerche. Quando, nel 1986, lo studioso norvegese è tornato sull'isola, Sergio Rapu era diventato governatore di Rapa Nui, nonché stimato archeologo. Durante le sue campagne di scavo, Sergio Rapu ha ridato la "vista" all'Isola di Pasqua, scoprendo i frammenti di corallo usati per gli occhi dei Moai, che dettero all'isola il nome "Mata ki te Rangi", gli "occhi nel cielo". Nel 1982, Sergio Rapu ha "ricostruito" nuovi occhi per ridare ai Moai lo sguardo di un tempo. 

Cronologia

 

Popolazione, abitazioni, paesaggi

Museo vivente, a circa 4000 km dal continente cileno, è popolata la una piccola comunità di2800 Polinesiani di razza maori, dediti alla pastorizia ed alla pesca come i loro antenati 11 capoluogo Hanga Roa è il punto focale dell'isola. Case basse multicolori, circondate da giardini e piccoli orti, rispecchiano il carattere gentile ed amichevole degli abitanti, sempre felici nell'accogliere i visitatori con danze caratteristiche e profumate collane di fiori. Fra verdi pendii e sinuose colline si scorge la localita' di Ahu Akivi dove 7 statue di pietra si stagliano verso l'azzurro come guardiani imponenti e silenziosi, sparsi ovunque verdeggianti crateri di vulcani spenti come il Rano Kao, il più grande dell'isola, lungo le cui sponde si erge l'antico villaggio di Orongo un tempo teatro di cerimonie rituali che celebravano il culto "dell'uomo uccello'' (Tangata Manu) Lungo la costa nord orientale si profila la spiaggia di Anakena, l'unica dell'isola dove sia possibile bagnarsi, e via via proseguendo lungo un paesaggio di singolare bellezza ricco di reperti archeologici, troviamo il vulcano Rano Raraku entro la cui cavità, ancora oggi piena di statue compiute ed incompiute, venivano costruiti i misteriosi "moai".

SITI E LUOGHI DEI PIU' SIGNIFICATIVI MOAI

Zona nord del paese di Hanga Roa proprio vicino dal sito di Ahu Tahai; i Moai del sito sono stati restaurati (come tutti gli altri 'in piedi') e qui si trova l'unico Moai con gli occhi visto che a tutti gli altri sono stati rimossi. 
Il sito di Ahu Vinapu dove oltre ad alcuni Moai caduti si possono notare i basamenti degli stessi scolpiti e squadrati con stupefacente precisione tenendo conto del periodo in cui sono stati realizzati e del fatto che gli attrezzi usati per scolpirli erano dello stesso tipo di roccia (basalto); queste pietre così squadrate hanno delle similitudini con altre che si trovano a Cuzco in Perù, tanto da far concludere ad alcuni archeologi delle origini sud-americane dei Rapa Nui. Altre cose interessanti: una testa di Moai rivolta di traverso rispetto a tutti gli altri e uno dei pochissimi Moai femminili. cratere di Puna Pau, la cava dei Pukao, i cappelli rossi dei Moai, in realtà questi cappelli dovrebbero rappresentare i capelli rossi tipici dei Rapa Nui del tempo. Uno dei siti più spettacolari: Ahu Akivi dove si trovano 7 Moai, gli unici rivolti verso il mare; in realtà la loro funzione come per tutti gli altri era di guardare e proteggere l'area cerimoniale ed il villaggio, il mare si troverebbe casualmente nel loro campo visivo. I 7 Moai sono stati restaurati nel 1960 ed hanno la particolarità di guardare dritto al sole nascente durante gli equinozi. ad Ana Te Pahu: una serie di grotte-cavità dove per via del terreno molto fertile le coltivazioni crescevano facilmente e velocemente e venivano usate in caso di emergenza.
Da Hanga Tee dove si suppone sia stato sepolto il primo Re dell'isola Ariki Hotu Matu'a.
Ahu Tongariki: l'Ahu più grande con 15 Moai in fila ; il sito fu parzialmente distrutto nel 1960 da un maremoto, successivamente le statue più grandi (le meno danneggiate dalla furia dell'acqua) furono restaurate anche se ora non si trovano più nella posizione originale; interessante notare che pur con l'aiuto delle gru su 1 solo Moai si riuscì a posare il suo Pukao, il colpo d'occhio sulle 15 statue in fila è assolutamente spettacolare. 
Proprio dietro a Tongariki si trova Rano Raraku , la cava dove si 'producevano' i Moai. La camminata che porta fin quasi alla cima si snoda fra decine e decine di Moai; alcuni finiti ma lasciati lungo la via del trasporto, altri da rifinire ed alcuni ancora "attaccati" alla montagna, tra questi il più grande in assoluto di circa 20 metri per un peso stimato di 150 tonnellate.

-ISOLA DI PASQUA-

L'isola fu scoperta dall'olandese Roggeveen e deve il suo nome al giorno in cui fu scoperta: proprio il giorno di Pasqua del 1722. Appartiene al Cile dal 1888 ed è aggregata alla regione di Valparaiso, inoltre dal 1935 una parte della superficie è parco nazionale. Nella lingua locale Rapa Nui, in spagnolo Isla de Pascua. E' un' isola sperduta dell'Oceano Pacifico, all'estremità orientale dei territori polinesiani: Capol. È una terra di origine vulcanica; raggiunge la sua massima altezza attorno ai 700m. E' coperta di praterie che consentono l'allevamento di ovini, bovini e cavalli. Produzione di frutta (banane, ananas, mango) legumi, mais. Fiorente la pesca, infatti la fauna marina è ricchissima, soprattutto di tonni e aragoste. 
L'isola si trova a grande distanza da ogni terra abitata ( la costa del Cile si trova a 3.700 Km, Tahiti a 5000 Km ca, a sud e a nord c'è mare aperto fino all'Antartide, 7000 Km ca, e al Messico, 5000 Km ca.) 
Ha forma triangolare: ai tre vertici si trovano tre vulcani spenti con crateri riempiti da laghetti coperti da un fitto intrico di canne e di erbe acquatiche. Le piogge sono abbondanti e l'isola è quasi ininterrottamente battuta dagli alisei. Prima dell'arrivo degli europei unico vegetale di larga diffusione era quello chiamato toromiro. Oggi quasi del tutto estinto (ne restano solo pochi esemplari protetti); il suo fusto legnoso veniva lavorato per ricavarne figure antropomorfe: le molte tuttora rappresentano antenati maschi e femmine e personaggi mitologici con testa di uccello o di lucertola; caratteristico dei personaggi maschili è l'aspetto piuttosto magro della figura (costole e zigomi sporgenti, testa scarnificata, ventre rientrante). La fauna precoloniale, povera di specie terrestri ( diffusi i topi e i moko, specie di ramarri), era ricca di pesci e di uccelli: fra questi ultimi va particolarmente citata, per il suo significato religioso, la specie di rondine marina nota come manutara. Il terreno è molto permeabile, quindi l'isola era quasi priva d'acqua, salvo poche sorgenti salmastre e i laghi craterici. Il panorama è cambiato notevolmente dopo l'arrivi degli europei. Attualmente abbondano le capre, i cavalli e sono stai introdotti gli eucalipti e varie culture alimentari. Il nome indigeno è Rapa Nui; è usato anche l'appellativo Te pito o te henua "l'ombelico del mondo" o "frammento di terra". La lingua dell'isola è un dialetto polinesiano di forma arcaizzante, ma è compreso ampiamente anche il thaitiano. La seconda lingua è lo spagnolo, da quando l'isola è parte integrante del territorio cileno. La caratteristica più interessante dell'isola è costituita dalle oltre 300 statue gigantesche (moais), sparse sul territorio (la più alta oltrepassa i 10 m, ma una, non terminata e giacente ancora nella cava, supera i 20 m). Situate un tempo su grandiose piattaforme-altari (ahu) cominciarono ad essere abbattute in seguito a guerre fra tribù rivali già all'epoca dell'arrivo degli europei: infatti Roggeveen le aveva viste ancora in piedi, ma nel 1840 nessuna di esse era più intatta (quelle che si vedono ora ritte sono state reinstallate da archeologi o esploratori). Provengono da una sola cava , alle pendici del vulcano spento Rano Raraku, nella parte est dell'isola. Avevano tutte sulla testa una sorta di cappello anch'esso di pietra rossiccia, prelevata da una cava nel piccolo vulcano Pona Pau. Secondo gli studi più attendibili tali statue rappresentano antenati tribali: anticamente l'isola era divisa a spicchi, partendo dal centro, e ogni tribù aveva uno spicchio alla cui base, presso la costa, c'era un ahu con un numero di statue maggiore o minore secondo l'importanza della tribù; tute le statue avevano il volto orientato verso l'interno, salvo quelle dell'ahu Akivi che erano rivolte verso il mare. Nonostante le ricerche, non è stata rinvenuta a Pasqua alcuna traccia di culture non polinesiane. Dunque si ritiene che la popolazione vi sia giunta probabilmente in varie ondate dal 900 ca a.C. forse dale Tuamotu o dalle Marchesi e trovatasi isolata a distanze enormi da ogni terra, abbia poi sviluppato alcuni elementi già presenti in modo meno evidente in varie culture della Polinesia orientale (grosse statue, esistono anche Mangareva e altrove). Tipico dell'isola di Pasqua è il mito dell'uomo-uccello (tangata-manu) e del dio Makemake; altrettanto importanti anche dal punto di vista artistico sono le ventiquattro tavolette ritrovate con un sistema di pittografia mnemonica, più che di vera e propria scrittura, a canone bustrofedico conservata su bastoni di legno (Kohau Rongorongo "legni di informazione") di cui non si conosce l'esatto significato perché gli ultimi che avrebbero potuto decifrarlo scomparvero nel 1862 quando una spedizione peruviana uccise o deportò nelle miniere di guano del Perù un gran numero di abitanti, distruggendo la classe dirigente dell'isola. Dal 1868 tutti gli abitanti sono cristiani cattolici. Dopo la definitiva presa di possesso, da parte del Cile, l'isola fu affittata ad una compagnia laniera inglese, che per timore di furti impose la regola, abolita nel 1964, che i pochi nativi fossero chiusi in un recinto dal quale potevano uscire solo con un lasciapassare. Attualmente l'isola, che fino al 1968 era visitata 1-2 volte all'anno da una nave rifornimento cilena, è collegata da un volo settimanale con Tahiti e con Santiago del Cile. Questi collegamenti hanno consentito l'avvio di un certo influsso turistico, specialmente dagli Stati Uniti. 

PIANTA E FIORI DI TOROMIRO’ NEL GIARDINO BOTANICO DELL’ISOLA DI PASQUA.

 

RAPA NUI, L'OMBELICO DEL MONDO 
LEGGENDA: (Hotu Matua)

Immaginate un mare talmente blu da confondersi con il cielo infinito. E immaginate una serie di canoe di giunco, cariche sino all'inverosimile di piante e semi, acqua dolce e gabbie di animali, attrezzi per lavorar la terra e per la pesca. E decine di persone, vestite con pochi stracci. Alla guida della spedizione oceanica c'e' un ariki, un uomo di stirpe reale. Si chiama Hotu Matua, è bello e fiero. E soprattutto è coraggioso. Difatti ha appena lasciato Hiva, una delle tante isole che galleggiano nell'arcipelago delle Marchesi, per puntare in Melanesia. Rotta verso l'ignoto. Non per pazzia, non per sete di ricchezza o per voglia di conquista, ma per rispettare una tradizione ancestrale che imponeva ad ogni ariki di lasciar la propria gente, la propria isoletta quando quest'ultima non riusciva più a sfamare l'aumentata popolazione. Controllo demografico, diremmo oggi. Fu così che Hotu Matua riuscì ad arrivare, non senza pericoli, nell'isola di Pasqua, Rapa Nui, l'ombelico del mondo. 

L'ISOLA, CARATTERISTICHE FISICHE

La misteriosa isola che ha affascinato il regista Kevin Reynolds, che recentemente l'ha immortalata in un film, non è in realtà quel paradiso che siamo soliti immaginare quando pensiamo alle terre da crociera. Rapa Nui è un isolotto a 5000 km da Tahiti e a 2000 dalle più popolose isole polinesiane. Un puntino nell'immensità dell'oceano. Ed una fonte di mistero che da sempre ha infiammato la fantasia dei fans di "Te pito o te henua", "L'ombelico del mondo". 

LA SCRITTURA

La scrittura dell'isola, ad esempio, da sempre tormenta gli studiosi del pianeta. I misteriosi geroglifici sono i "rongorongo", indecifrati, assomigliano così straordinariamente ad un alfabeto scoperto nella valle dell'Indo. 

IL MISTERO DEI MOAI E IL LORO TRASPORTO, GLI OCCIDENTALI NELL'ISOLA E LA POPOLAZIONE LOCALE. STORIE FANTASIOSE E STORIE DOCUMENTATE SCRITTE DA VARI SCRITTORI.

E cosa rappresentano le centinaia di gigantesche statue (moai) che sfilano lungo la costa e che, dai sei metri della loro altezza, sembran fissare oscuramente il navigante? Oscuramente, certo, perché dei colonizzatori gli indigeni hanno sempre diffidato. 
I primi occidentali giunti sull'isola furono gli olandesi dell'ammiraglio Roggeveen, nel 1772. Furono questi che, scoperta l'isola nel giorno di Pasqua, le diedero l'attuale nome. E furono questi i primi a notare che i Pasquani, circondati da centinaia di fuochi, attendevano l'alba prostrati davanti ai moai, pregando e salutando la nascita del sole. Molti degli indigeni, compreso "un uomo di pelle completamente bianca" che si comportava in maniera più solenne degli altri, avevano i lobi delle orecchie bucati ed allungati, come i moai. Curiosamente, fra la popolazione c'erano pochissime donne. I Pasquani vivevano ancora come nell'età della pietra, senza conoscere i metalli e cucinando il cibo per terra, fra le pietre roventi. Ritenendo che non esistesse al mondo un popolo altrettanto primitivo, gli Olandesi si stupirono grandemente nel vedere i giganteschi moai. 
Come avevano potuto innalzarli i Rapanui? Allontanatisi gli Olandesi, la pace degli indigeni fu nuovamente turbata nel 1770 dagli spagnoli di Felipe Gonzales. Ed anche questi notarono la scarsità di donne e bambini. Fu poi la volta degli Inglesi di Cook e ancora una volta pochissime persone accolsero i viaggiatori. Non erano passati che 12 anni dalla visita di Cook che arrivarono i Francesi di La Perouse, nel 1786, ma questa volta la terra brulicava di gente, soprattutto di donne e bambini. Era chiaro che gli indigeni corressero a nascondersi, ogni qual volta arrivava un intruso. E difatti Rapa Nui è un dedalo di gallerie sotterranee, strettissime, attraverso le quali passa a fatica un uomo solo. Queste gallerie, sperimentate personalmente dall'esploratore Thor Heyerdahl , conducono a gigantesche gallerie sotterranee, ove può vivere comodamente un'intera tribù. In molte caverne sono state trovate ossa umane miste a feci, e questo ha fatto pensare a episodio di cannibalismo tribale; inoltre si è notato che, astutamente, i Rapanui hanno scavato vari buchi nella roccia dai quali filtra l'acqua, di sapore e temperatura differente a seconda dell'altezza del foro. La strettezza dei corridoi d'accesso, poi, è un'efficacissima protezione contro i nemici, che non possono penetrare nelle grotte più di uno alla volta e dai nemici hanno dovuto guardarsi più volte, i Pasquani. Come dagli Americani sbarcati all'inizio dell'Ottocento, in cerca di schiavi. E dai successivi Russi, accolti a sassate. E dai Peruviani che, nella sera di Natale del 1862 lasciarono decine di cadaveri sugli scogli e portarono via come schiavi quanti erano sopravvissuti. I pochi scampati si erano rifugiati nelle caverne e avevano chiuso le entrate con grossi massi. L'isola, brulla e povera, sembrava adesso deserta. Le lotte intestine e lo schiavismo ben poco hanno lasciato della memoria storica di Rapa Nui che, non avendo documenti scritti decifrabili, mantiene intatti i propri segreti archeologici.Primo fra tutti, quello riguardante il significato e la tecnica di costruzione dei misteriosi moai. Al riguardo,il celebre divulgatore Peter Kolosimo ha dichiarato:
"Le statue dell'isola di Pasqua sono pesantissime ed è impensabile che siano state erette servendosi di rulli di legno. Gli ufficiali della nave da guerra Topaze, per sollevarne una alta solo 2,5 metri, dovettero ricorrere ai mezzi più moderni e ad oltre 500 uomini". 
Lo stesso venne fatto notare dall' archeologo dilettante Enzo Valli di Milano, durante un dibattito televisivo su ReteSette: 
"Certo, è stato dimostrato che è possibile trascinare una statua dal vulcano a valle, ma come hanno fatto gli indigeni ad estrarre i moai dalle cave di montagna, ove sono conficcate?" Al quesito hanno definitivamente risposto due archeologi francesi insegnanti al CNRS: Catherine e Michel Orliac, decisamente più con i piedi per terra, che hanno dichiarato: 
"Una volta finiti sul Rano Raraku, i giganti di pietra venivano trasportati sino agli ahu (complessi megalitici sacri), talvolta a più di 10 km. Il modo con cui furono trasportate le oltre 300 statue erette sui santuari e` ancora incerto. La tradizione orale non fornisce elementi tecnici soddisfacenti. I Pasquani invocano un capo mitico, Tuu Ko Ihu, il dio Make Make o ancora i sacerdoti che ordinarono alle statue di "camminare" e di posarsi sui rispettivi ahu. La mancanza di dati ha scatenato l'immaginazione, pure il peso delle statue è sempre stato sopravvalutato. Si è parlato di 300, 400 o 500 tonnellate...Occorreva immaginare un sistema di sollevamento che necessitasse di un minimo di legname, poiché i primi visitatori europei non avevano trovato che striminziti alberelli. In realtà i Pasquani hanno avuto il legname, ricerche recenti hanno dimostrato che l'isola un tempo era boscosa. Vi si posavano vari semi, come la sophora toromiro e una varietà di palme simili alla pritchardia. Il legno di questi alberi è ideale per l'estrazione,il trasporto ed il rotolamento. La scorza di un altro legno, la triumfetta, era particolarmente preziosa per la fabbricazione di solide corde...". Le stesse corde e gli stessi legni, aggiungiamo noi, serviti per realizzare fionde e zappe raffigurate in un acquarello d'epoca, opera di un osservatore occidentale, recuperato dallo studioso Maurice Deriberé. Quanto al trasporto, Heyerdahl ha dimostrato, ripreso dalle cineprese, che è possibile sollevare un moai e trascinarlo a valle semplicemente facendolo scivolare, tirandolo con delle corde ora a destra, ora a sinistra, facendogli compiere, in piedi, un percorso a zigzag. Dandosi il tempo con una antica nenia locale. Il sistema utilizzato dall'esploratore spiega tra l'altro perché la base delle statue sia smussata. Per l'attrito col terreno, durante il trasporto. Un enigma è dunque risolto. Ma in che modo i giganteschi moai sono stati costruiti da indigeni tanto primitivi? Il quesito e' stato sollevato dallo scrittore svizzero Erich Von Daeniken, autore di decine di volumi sui misteri del passato tradotti in tutto il mondo e padre indiscusso della "fantarcheologia". Le risposte date dallo stesso non sono proprio soddisfacenti.
"Come truci robot 200 colossi sorvegliano le coste dell'isola di Pasqua, non si sa chi raffigurino. La leggenda dei Rapanui narra che un giorno le statue andarono da sole ad occupare il proprio posto", ha scritto lo svizzero in "Enigmi dal passato" poi:
"La mia ipotesi è questa: cosmonauti extraterrestri fornirono ai primitivi abitanti dell'isola strumenti tecnici di precisione, di cui sacerdoti o maghi potevano servirsi, e grazie a cui liberarono i massi dalla lava e li lavorarono, i visitatori stranieri sparirono. Come tutti gli utensili, anche questi strumenti ricevuti in dono si consumarono e divennero inservibili. I primitivi non poterono evidentemente costruire nuovi strumenti di quel livello. Sta di fatto che il lavoro da un giorno all'altro venne abbandonato, oltre 200 statue rimanevano "incollate" alla parete del cratere. Ai nativi restava l'acuta ambizione di portare a termine il lavoro. Visto che i "vecchi" utensili non erano più utilizzabili, la lava fu affrontata con mazze di pietra. Per giorni un allegro martellare risuonò sull'isola dalle pendici del cratere, ma senza risultato. Le amigdale di pietra si consumavano, senza che si fosse riusciti a strappare una sola statua alla parete. Ci si rassegnò e centinaia di mazze di pietra furono abbandonate nel cratere..." .
Una bella storia, non c'è dubbio, ma nemmeno Von Daeniken sembra crederci troppo, visto che, in un altro libro, scrive:
"Un piccolo gruppo di esseri intelligenti furono gettati sull'isola a seguito di un incidente tecnico. I naufraghi avevano immense conoscenze tecniche ed erano maestri nel lavorar la pietra con un sistema sconosciuto e del quale troviamo esempi su tutto il globo".
Niente mazze, dunque, un'ulteriore versione differente e' riportata da Roy Stemman nel capitolo "I carri degli dei" ove, rifacendosi alle dichiarazioni di Von Daeniken, viene riprodotto un bellissimo disegno di Chriss Foss che mostra una gigantesca astronave che, sotto l'occhio vigile di alcuni sacerdoti pasquani, solleva i moai con cavi d'acciaio e fasci di luce solida . Infine, in "Chariots of the Gods?" i costruttori delle gigantesche statue diventano dei misteriosi "uomini volanti", scrive Von Daeniken:
"Una leggenda trasmessa oralmente ci dice che gli uomini volanti atterrarono ed incendiarono, nei tempi antichi. La leggenda è confermata dalle sculture di creature volanti dai grandi occhi lucenti..." 
Ma se perfino la fertile fantasia di Von Daeniken non riesce a scovare una spiegazione per i misteri dell'isola di Pasqua; il primo premio per la più originale corbelleria spetta al francese Denis Saurat, Che, nel libro "La religion des geants et la civilisation des insectes", notando la straordinaria magrezza degli indigeni denutriti, ha scritto: "Nell'isola di Pasqua l'uomo ha cercato di trasformarsi in insetto, egli stesso ed il suo corpo. Noi abbiamo l'imitazione di Gesù Cristo, in spirito, l'umanità ha conosciuto l'imitazione dell'insetto". 
Quasi che la miseria fosse una libera scelta. E più avanti, favoleggiando di analisi mediche circa il funzionamento delle ghiandole endocrine, Saurat arriva a stabilire che i moai rappresentino esseri umani vivi ma in condizioni "non conosciute altrove". Frutto di un trattamento volontario teso a creare un individuo costantemente disidratato, pelle e ossa ed iperclorato per l'abitudine di sorbire acqua salmastra. Una sorta di razza ariana alla rovescia. E, non contento di quanto testé affermato, Saurat fornisce addirittura un disegno esplicativo della razza "degli uomini-insetto". Sembianze di una ipo-razza terrestre o di una super razza aliena, i moai restano un mistero. Chi li ha costruiti e perché? L'ipotesi più credibile e' che i moai fossero i monumenti voluti dalla casta aristocratica e dominante delle "orecchie lunghe", così detta per le orecchie forate ed allungate. Casta che avrebbe sfruttato come schiavi i paria "orecchie corte". Questi ultimi si sarebbero infine ribellati alla tirannia degli aristocratici e,dopo una sanguinosissima lotta, avrebbero annientano le "orecchie lunghe" e abbattuto i monumenti che li rappresentavano. Come spesso accadeva nell'antichità. Per inciso, i moai altro non sarebbero che monoliti sacri, dedicati agli dei ma anche ai defunti. E gli ahu, i raggruppamenti di più "testoni", servirebbero volta per volta da monumento per gli dei, da colonne portanti del palazzo imperiale e da lapidi funebri. Ciò è confermato anche dall'enorme importanza attribuita dagli isolani alla religione, che ha la massima espressione nella festa annuale dell'uomo-uccello, intimamente legata al culto del dio Make Make. Sempre Kolosimo, al riguardo, ha scritto: "Impossessarsi dell'uovo significava divenire uomo-uccello,simile agli dei discesi, conquistare l'illusione d'essere, per un anno, vicino a quelle creature il cui ricordo è ancora fissato su documenti ispirati a tradizioni senza età...". Più semplicemente, significava diventare, per un anno, un dio. Niente male, dopotutto.