La Tierra entre los dos
Oceanos
viaggio a Panama
di Fabio
25/12/2006 – MILANO MXP – ATLANTA (USA) – PANAMA
Oggi è
Natale. La tradizione vorrebbe che restassimo a casa per dedicarci alle
generose pietanze della consuetudine emiliana. Noi invece questo Natale lo
passeremo sopra un aereo della Delta Airlines, attraversando l’Atlantico,
per far scalo ad Atlanta e arrivare a Panama City dopo 15 ore di volo (+4 di
stop ad Atlanta per cambio aereo fanno 19 ore). Perché proprio Panama?
Intanto perché la nostra voglia di mare è insanabile e a Panama ci sono
addirittura due oceani. Poi perché dalle nostre ricerche ci risulta che ci
sia ancora tanta natura incontaminata, oltre che una grande varietà di
paesaggi. E per finire, ma non meno importante, è una meta ancora non
toccata dal turismo di massa. Gli italiani snobbano ancora questo posto,
meglio così. Non esiste neanche una guida in italiano: la Lonely Planet, la
nostra bibbia, è in inglese. No problem, ce la siamo tradotta. Su Amazon
abbiamo trovato una mappa in scala 1:480.000 della International Travel Maps:
plastificata, a prova di sbrodolo, particolareggiata, un acquisto
azzeccatissimo. Sbarchiamo a Panama City che è ormai notte fonda. Grande
pensata quella di prenotare via internet dall’Italia un hotel nei pressi
dell’aeroporto, che è anche più vicino di quanto pensavamo: 2 minuti di
taxi. E domani andremo a prendere la nostra auto che ci aspetta
all’aeroporto.
26/12/2006 PORTOBELO – PLAYA GORGONA (KM 300)
Dato che
il Riande si trova in posizione strategica (ed ha anche la piscina) ce lo
assicuriamo allo stesso prezzo per l’ultima notte del viaggio. E adesso
inizia l’avventura. All’aeroporto ritiriamo il nostro 4x4 Daihatsu Terios
blu, prenotato via internet presso la Thrifty (per noi sconosciuta fino a
quel momento, ma rivelatasi economica ed estremamente affidabile). Puntiamo
subito verso la costa del Caribe, quella di Portobelo, dove resteremo per un
paio di giorni, facendo bene attenzione a girare al largo di Colon, città
dipinta come un covo di malviventi e di sfiga. In fin dei conti siamo qui
per viaggiare, non per cercare rogne. Dall’aeroporto per andare verso
Portobelo bisogna passare per Panama City e li ci accorgiamo che è veramente
un bel casino. In lontananza si vedono i grattacieli del centro. Da vedere
gli autobus dipinti con colori vivaci e fantasie assurde: sulla stessa
fiancata ci può essere Gesù Cristo e Madonna, la cantante. Usciamo
rapidamente dalla città, dove la guida è veramente selvaggia e il traffico
caotico. Passiamo per Puerto Pilon, Playa Maria Chiquita e arriviamo a
Portobelo dove, a parte gli antichi cannoni spagnoli sulle rovine delle
vecchie mura, non c’è molto altro. Diciamo che ci aspettavamo una “vera
costa caraibica”, con sabbie bianche, acque cristalline ecc. Foreste
lussureggianti a non finire, ma di spiagge neanche l’ombra. La popolazione
di Panama è estremamente varia, di tutti i colori: su questa costa sono per
lo più neri come il carbone, caraibici purosangue. Qua la povertà si tocca
con mano: certe facce poco rassicuranti, la penuria di spiagge e di alloggi
ci consigliano di cambiare aria. Veloce cambio di programma di viaggio (la
magia di essere solo in due = decisioni rapidissime): addio costa caraibica,
almeno per ora, voliamo verso il pacifico. Filippo non lo ha mai visto e non
vede l’ora di toccare il suo terzo oceano. Si passa nuovamente per Panama
City e si scatena il finimondo: un acquazzone tropicale in piena regola che
ci costringe a fermarci in una strada laterale perché non si vede più un
tubo e si stanno formando dei fiumi con cascate per le strade. La tempesta
si calma, attraversiamo il Ponte Centenario sul famoso Canale di Panama: la
Lonely Planet ci consiglia le Cabanas di Playa Gorgona, essenziali, ma in
ottimo stato e praticamente sulla spiaggia.
27/12/2006 – PLAYA GORGONA (KM 80)
Stanotte è
piovuto di brutto, ma la mattina è splendida. Non ci eravamo resi conto che
le nostre non sono proprio solo cabanas, ma si tratta di un piccolo
villaggio turistico con tanto di piscina e campo da beach volley. Niente di
lussuoso, ma tutto molto simpatico. Il villaggio è sulla spiaggia dalla
quale è separato da una rete metallica con filo spinato che gira tutto
intorno. Alla sera si chiude, così gli eventuali rompipalle restano fuori.
Questa mattina andremo alla scoperta delle spiagge della zona: Playa
Coronado, Playa San Carlos, Playa El Palmar, Playa Rio Mar. Le spiagge sono
bianche, lunghe e deserte, quello che volevamo. Ci siamo solo noi e le
iguane su queste spiagge del Pacifico. Ma non possiamo restare ad arrostire
sulla sabbia tutto il giorno, quindi nel pomeriggio ci addentriamo per una
trentina di chilometri nell’entroterra ed andiamo a El Valle, piccolo
paesino adagiato nel cratere sprofondato di un antico vulcano. Si respira
un’aria di pace e tranquillità unica. Qui c’è la famosa “India Dormida”, una
montagna che ricorda le forme di una donna distesa, molto suggestiva. C’è un
bel mercatino di artigianato e nei dintorni belle foreste e cascate. Andiamo
a vederne una e percorriamo il sentiero che ci porta ai piedi di una cascata
in mezzo alla giungla. La nostra guida (un bambino di otto anni) si merita
una mancia. Prima di lasciare El Valle inciampiamo in un piccolo rettilario,
dove, alla modica cifra di 1 $, vediamo un bel numero di serpenti velenosi e
non, compreso il famoso “fer de lance”; pare sia piuttosto diffuso da queste
parti. Speriamo di non incontrarlo dal vivo. Visto che le ore più calde
della giornata sono passate, possiamo ritornare un po’ in spiaggia.
28/12/2006 RIO HATO (KM 50)
Il nostro
viaggio riprende con un piccolo spostamento. Seguiamo l’Interamericana (che
alla fine sarà la spina dorsale del nostro viaggio) e arriviamo a Rio Hato,
circa 40 km più a ovest. Per dormire vogliamo spendere veramente poco, sulla
strada troviamo El Hospedaje las Delicias (detto il "Lurido"), un piccolo
motel con 10 stanze e un giardinetto. Le camere sono piccole, con letto
matrimoniale, bagno privato, aria condizionata e Tv, dato che ci sono
diverse spiagge nelle vicinanze, ci fermeremo due notti. E adesso, spiaggia.
Playa Santa Clara è una spiaggia molto conosciuta da queste parti e molto
frequentata dalla gente del posto (che arriva con enormi contenitori di
carne arrostita da consumare sulla sabbia sotto il sole cocente). Tutti
panamensi, comunque. Di viaggiatori allo stato brado come noi non se ne
vedono. Spiaggia di sabbia bianca, molto larga e lunga, mare tranquillo e
caldo (chi pensava che il Pacifico qui fosse freddo dovrà ricredersi). In
questa zona tutte le spiagge si raggiungono facilmente dalla Interamericana.
Facciamo un salto a Playa Farallon, dove tra la foresta e il mare ci sono un
sacco di ville favolose. Lungo la strada verso casa incontriamo quello che
diventerà il nostro fornitore ufficiale di frutta: un indio che nella sua
capanna di legno e frasche a lato della Interamericana vende frutta fresca
esagerata. Ananas a 85 cent, banane e arance a 5 cent…. Siccome ha con sé
tutta la famigliola, c’è sempre una mancia per i bambini.
29/12/2006 RIO HATO (KM 50)
Ancora
mare. Via sulla Interamericana, facciamo spesa dal nostro fruttivendolo e ci
facciamo indicare qualche spiaggia nei paraggi. Ci indica una strada li
vicino, proprio a fianco del suo “negozio”: dice che è un po’ sterrata, ma
ci garantisce che “la playa es muy bonita”. Ci fidiamo. Perché mai dovrebbe
fregare i suoi clienti? La strada non è bellissima, ma neanche orrenda.
Attraversiamo un po’ di praterie, un po’ di foresta e alla fine eccoci a
Playa Blanca: bianca e deserta. Una favola. E pensare che siamo in dicembre.
Passiamo in rassegna altre spiagge, come quella dell’Hotel Royal Decameron:
naturalmente c’è la spiaggia privata dei signori (alloggiati nel lusso con
tanto di campo da golf), ma lì vicino c’è anche quella per i comuni mortali,
basta pagare un minimo di parcheggio. Ci sono anche le bancarelle degli
indios che vendono magliette collane e bracciali. E dopo una giornata intera
di mare, torniamo alla nostra tana, dobbiamo apparecchiare per la cena: il
tavolo è il dorso della valigia, la cena sono i nostri panini.
30/12/2006 LAS LAJAS (KM 270)
Il viaggio
di oggi è piuttosto impegnativo. Imbocchiamo la Interamericana,
attraversiamo Penonomé, Aguadulce e Santiago. Dobbiamo arrivare nella
regione di Chiriqui. Santiago, la città principale, si trova nella regione
di Veraguas, zona di una bellezza selvaggia con il verde che domina.
Sessanta chilometri di lavori in corso, naturalmente condotti con la tipica
flemma centroamericana (no infarto, grazie), rallenta non poco il nostro
spostamento. Ma non ci rincorre nessuno. Giunti al bivio di San Felix
seguiamo le indicazioni per Playa Las Lajas, ci sarà pure qualcosa dove
dormire là. La strada è in buono stato per la maggior parte del percorso,
solo negli ultimi chilometri l’asfalto lascia il posto allo sterrato, che
passa tra canneti, paludi e palmeti. Ed ecco Las Lajas. La spiaggia è molto
popolata rispetto a quelle incontrate fino ad ora: ci saranno anche dieci
persone. Ci sono tre gruppi di cabanas, tutte molto spartane: uno è al
completo, uno ha i bagni esterni e fa schifo. Ci sistemiamo nel terzo
gruppo, un piccolo villaggio di cinque cabanas di legno a due piani, tetto
spiovente fatto di foglie di palma. Niente vetri alle finestre, che sono
fatte con i mattoni forati. Da notare che da questi fori, a parte i
coccodrilli e i giaguari, può entrare di tutto. Anche i pavimenti sono di
legno e la stanza da letto, dotata di letto matrimoniale con zanzariera a
imbuto rovesciato, è al piano superiore, in mansarda. La luce elettrica è
garantita da un gruppo elettrogeno che però ad una certa ora viene spento.
Quindi, buio. Volevamo un posto da selvaggi? Eccoci accontentati.
Trattandosi di un luogo molto raffinato, il prezzo è il più alto finora
incontrato. Resto del giorno sulla spiaggia, che la bassa marea allunga fino
quasi al Giappone.
31/12/2006 BOCA CHICA, PLAYA HERMOSA (KM 75)
Al
risveglio troviamo in camera un’iguana da 5 kg che ci guarda: la poveretta,
dopo avere incrociato i nostri sguardi ancora assonnati, in preda al panico,
tenta il suicidio gettandosi dalle scale e fuggendo poi a gambe levate.
Lasciamo Las Lajas e per festeggiare degnamente l’ultimo giorno dell’anno
faremo un po’ di fuori strada: la mappa indica una strada rossa (=niente di
buono) alla fine della quale ci sono un paio di posti che si chiamano Boca
Chica e Playa Hermosa e che ci ispirano troppo. Il nostro Daihatsu Terior
sarà messo a dura prova da uno sterrato di 16 km di buche, curve e
smottamenti per quasi due ore di viaggio. La strada finisce in un posto che
sembra un paradiso: il SeaGull Cove Lodge è un hotel bellissimo, nuovo
fiammante, composto da una struttura centrale in muratura tinteggiata di
giallo con tetti di coppi, ringhiere e particolari in ferro battuto,
pavimenti in cotto. Le camere si trovano in diverse casette, nel medesimo
stile, dislocate in mezzo alla foresta e con veduta su una baia solitaria.
Ci costerà una fortuna, ma non abbiamo nessuna intenzione di rifare quella
strada a ritroso, almeno per oggi. Il posto è favoloso: una piccola spiaggia
privata in una baia verde smeraldo circondata dalla foresta che ispira pace
e serenità, dove sfruttiamo il sole fino all’ultimo raggio. Poi scatta
l’operazione “cenone di capodanno”: ananas, banane, ritz, crackers (i negozi
sono lontani e le nostre scorte sono piuttosto limitate, ma non ce ne frega
niente). La camera e il bagno sono particolarmente lussuosi, non ci siamo
abituati e alle nove di sera stiamo già dormendo, alla faccia dei
festeggiamenti di un capodanno che comunque ci ricorderemo per tutta la
vita.
01/01/2007 BOQUETE (KM 110)
E’
Capodanno, lasciamo il paradiso di Playa Hermosa e iniziamo ad avvicinarci
alla costa caraibica. Abbiamo letto molto della zona del Volcan Barù e di
Boquete e, dato che ci incuriosiscono molto, faremo una tappa là prima di
arrivare sul Caribe. Si comincia a salire verso la zona montuosa e Panama
cambia ancora una volta il suo paesaggio, vedute e panorami splendidi.
Boquete è una cittadina turistica sulle montagne, adagiata in una zona ricca
di sorgenti termali dove il Volcan Barù domina dall’alto dei suoi 3400 mt.
La prima veduta di Boquete si ha dalla strada all’altezza dell’ufficio
turistico: il paese è là in fondo alla valle, in mezzo scorre il fiume
Caldera e tutto intorno foreste rigogliose. Deve essere la Svizzera del
Centro America. Ci assicuriamo un piccolo hotel molto confortevole, il
Rebequet a 39,00 $. Il gestore è un anziano abruzzese che è qui da più di
trenta anni e dice di essere stanco di questo posto: che venga pure a farsi
un bel giro in Italia in questo periodo, vedremo quanto tempo resiste. I
dintorni di Boquete sono ricchi di foreste, fiumi, cascate, coltivazioni di
caffè (Boquete è famoso anche per le sue torrefazioni, ne proviamo una).
Stasera seguiremo il consiglio della Lonely Planet e andremo alla pizzeria
“Da Salvatore”, preparati psicologicamente ad una fregatura: che razza di
pizza vuoi trovare a Panama? Ma uno con un nome così, Salvatore, la pizza
deve avercela senz’altro nel Dna. L’amara sorpresa è che l’unico Salvatore
del locale è quello scritto sull’insegna, mentre gli altri sono tutti
panamensi, che sicuramente una vera pizza non l’hanno mai vista. Ci portano
una cosa che.… lasciamo perdere, non riusciamo a finirla, meno male che in
macchina ci sono restate alcune banane. Morale: mai fidarsi di un americano
che consiglia un locale dove la pizza è “molto buona”; gli americani non
sanno niente di pizza e l’autore della nostra Lonely Planet è americano!
02/01/2007 BOCAS DEL TORO (KM 200)
Oggi il
Caribe ci aspetta. Attraversiamo la cordigliera e arriviamo sulla costa
caraibica. Il tempo è splendido e gli ultimi 60 km sono da cartolina: da una
parte il mar dei Caraibi e dall’altra la foresta tropicale interrotta ogni
tanto dai bananeti. Qua la gente vive ancora nelle capanne di legno e paglia
sulle palafitte. Evidentemente ci sono parecchi animali selvaggi in libertà.
La nostra meta è Almirante, un posto che la guida ci dipinge come tutt’altro
che tranquillo e sicuro. Gli italiani di Playa Hermosa ci hanno consigliato
di lasciare l’auto dai Bomberos (i pompieri), dove pagheremo con pochi
dollari per la sua custodia ed avremo la certezza di ritrovarla intatta al
nostro ritorno. Dalla piccola caserma esce un bombero, enorme, nero che,
quando scopre che siamo italiani, ci dice di avere lavorato tre anni con un
nostro connazionale molto simpatico e così molto orgogliosamente comincia ad
elencarci tutto quanto ha imparato nella nostra lingua: parte una sfilza
impressionante di bestemmie da far impallidire anche il più integralista
degli atei. Ringraziamo per la calorosa accoglienza e prendiamo il “Taxi
25”, un servizio di barche a motore così chiamato perché in 25 minuti ti
porta a Bocas del Toro. Secondo gli accordi, Jorge, il proprietario
dell’Hotel Los Delfines, ci viene a prendere al porto con il taxi (questa
volta quello classico, con quattro ruote). La camera è più che dignitosa, in
mansarda, con una veduta sul quartiere sfatto di Bocas del Toro. Prendiamo
la borsa per il mare e via, verso le spiagge bianche dei carabi se non fosse
che il cielo si è improvvisamente coperto e non promette nulla di buono.
Comincia anche a piovere e continuerà per tutto il resto del giorno e per
tutta la sera. Pazienza, speriamo bene per domani, questa non è stagione di
piogge e dopotutto noi passeremo tre giorni qua (ma uno è già sparito sotto
l’acqua). Ne approfittiamo per cenare con fritto misto al ristorante
dell’Hotel dove Jorge è anche il cuoco; sua figlia invece è mooolto “buona”.
Pioverà per tutta la notte.
03/01/2007 LAS LAJAS (KM 270)
Al
risveglio ci rendiamo conto che peggio non poteva andare: piove ancora e il
cielo è ancora più nero di ieri, senza il minimo spiraglio di azzurro. Noi
siamo venuti qui per il sole e non possiamo permetterci di gettare via il
nostro tempo beccando acqua da tutte le parti. Già abbiamo buttato nel cesso
la giornata di ieri, sarebbe un peccato che anche quella di oggi finisse
così. Veloce consultazione e si decide per il cambio repentino di programma:
si torna sul Pacifico, là il sole splende sicuramente. Con la morte nel
cuore ci facciamo preparare il conto per quell’unica notte: povero Jorge,
lui non è molto contento perché perde 140 $, ma noi restando qui perderemmo
il sole. Taxi 25 siamo di nuovo ad Almirante dai bomberos per ritirare la
nostra auto. Oggi, per la seconda volta in questo viaggio panamense, vedremo
due oceani nello stesso giorno. Rifacciamo a ritroso il percorso fatto solo
ieri e anche qui il tempo non è favoloso. Riattraversiamo le foreste
tropicali e la cordigliera, dove troviamo un grosso boa constrictor morto in
mezzo alla strada: ci stanno pensando i corvi a ripulire. Ogni tanto si
trovano segnali stradali molto eloquenti: uno raffigura un segnale di
pericolo con al centro un serpente: significa che se scendi dall’auto, anche
soltanto per una pisciata, sono fatti tuoi. Una volta superato lo
spartiacque della cordigliera, il sole torna a splendere. E’ un vero peccato
che il Caribe non ci abbia portato fortuna: avremmo passato volentieri un
paio di giorni su Isla Bastimento, sulle sue spiagge bianche, con la testa
sotto e palme e i piedi in ammollo nel mare cristallino. Pazienza, dovremo
accontentarci del Pacifico che comunque è sempre un gran bell’accontentarsi.
Nei pressi del bivio per Las Lajas, proprio sulla Interamericana, troviamo
una specie di motel costituito da piccole casette indipendenti sparse sopra
un prato. Resto del giorno in spiaggia a Las Lajas, la più vicina a noi, a
riprenderci il sole e il mare che ci sono stati negati ieri.
04/01/2007 SANTA CATALINA, VILLA DE LOS SANTOS (KM 340)
Oggi
andremo in uno dei posti più conosciuti di Panama, Santa Catalina, nota
soprattutto tra i surfisti che arrivano su questo punto del Pacifico da ogni
parte del mondo. Pare sia un paradiso per loro. La nostra trasferta è
piuttosto impegnativa, non tanto per la distanza da Las Lajas (180 km)
quanto per un tratto di sterrato di circa 40 km che non ci aspettavamo e che
ha rallentato non poco la marcia, oltre a renderla più pesante. Arriviamo a
Santa Catalina e sinceramente tutto quel gran baccano su internet e sulle
guide per questo posto non ci sembra dovuto: Il posto è bello, ma niente di
più entusiasmante di quanto non abbiamo già visto. La spiaggia è normale e
gli alloggi (pochi e simili a dei pollai): insomma, il posto non ci fa
impazzire, ci guardiamo in faccia e puntiamo il dito sulla cartina. Andiamo
avanti. A questo punto si tratta di trovare una sistemazione per la notte, o
nell’entroterra oppure facendo un ultimo sforzo ed arrivare sulla costa est
della penisola de l’Azuero. Buona la seconda. Ci fermiamo lungo la strada
per telefonare ad un hotel trovato sulla Lonely Planet: non c’è problema, il
posto c’è. Arriviamo a Villa de Los Santos all’imbrunire e alloggiamo al
Kevin’s Hotel e scopriamo di essere gli unici occupanti delle 25 camere a
disposizione. L’hotel è piccolo, molto tranquillo, stanze pulitissime, con
televisione e aria condizionata.
05/01/2007 VILLA DE LOS SANTOS & PLAYAS (KM 50)
Dopo lo
sbattimento di ieri ci dedichiamo ad un pò di meritato riposo e oggi andremo
a vedere le spiagge della zona, Playa Monagre e Playa El Rompio, che sono
abbastanza vicine. Le due spiagge sono di sabbia scura e il mare è marrone:
deve esserci qualche fiume che sbocca in mare o forse una burrasca qua
vicino, sta di fatto che il colore non è invitante e non ce la facciamo a
fare il bagno. Peccato, scopriremo troppo tardi che in fondo alla penisola
de l’Azuero a sud ci sono spiagge bianche con mare blu, ma arrivarci sarebbe
stata un’impresa folle. Dato che il nostro hotel (sempre il Kevin’s Hotel) è
dotato di ristorante, prenotiamo un tavolo per la cena e ci concediamo una
sera da Vip: e infatti, come i veri Vip, noleggiamo un intero ristorante,
visto che siamo gli unici clienti della serata. La cena è stratosferica: il
proprietario, che è anche il cuoco, ci serve una buonissima bistecca con
riso e patate fritte. Se la cena ci ha resi felici, il conto ci ha lasciati
sbalorditi: 7,50 $ in due, roba da non credere. Nella nostra vita non
abbiamo mai mangiato così bene spendendo così poco.
06/01/2007 RIO HATO (KM 180)
Dato che
l’assassino torna sempre sul luogo del delitto, trovandoci a passare
nuovamente per Rio Hato, andiamo a fare un’improvvisata al “Lurido” (Hospedaje
las Delicias): chissà come sarà contento di vederci. In realtà non gliene
frega niente e neanche a noi, ma il posto è talmente a buon mercato che ci
beccherà anche stasera. Approfittiamo della giornata, bel tempo come sempre,
per andare a passare in rassegna le spiagge già viste durante il nostro
primo passaggio da queste parti nei giorni scorsi. Ce ne sono talmente tante
che non c’è che l’imbarazzo della scelta: quindi sole e mare tutto il
giorno. In serata ci capita un episodio abbastanza curioso. Entrati in
camera, dopo avere chiuso la porta, ridendo e scherzando, un dubbio ci
assale: abbiamo lasciato le chiavi infilate nella serratura all’esterno, in
poche parole siamo chiusi dentro. La porta non si apre più dall’interno, le
finestre hanno le inferriate e fuori non c’è nessuno a cui chiedere aiuto.
Non ci resterebbe che attendere la fine dei nostri giorni e morire di fame
in un motel panamense, ma ci viene in aiuto la famosa “arte di arrangiarsi”.
Con la lama di un coltello svitiamo tutte le viti della serratura, che viene
smontata dalla porta, si riapre magicamente l’uscio, ed ecco recuperate la
chiave e la libertà. Rimontaggio del tutto e risate a crepapelle: neanche il
mago Silvan avrebbe saputo fare di meglio.
07/01/2007 PLAYA SANTA CLARA (KM 100)
Questa
volta salutiamo definitivamente il “Lurido” perché abbiamo individuato una
zona molto bella dalle parti di Santa Clara, dove passeremo, nello svacco
più totale, le prossime quattro notti. Da queste parti le strutture non
mancano, basta fare un giro e chiedere un po’ di prezzi per poi scegliere
quello che si preferisce. Noi ci accomodiamo in un piccolo hotel di cabanas
con piscina, poco distante dalla spiaggia principale di Santa Clara. Il
prezzo non è proprio un omaggio, considerato il nostro standard degli ultimi
giorni. Il proprietario è un americano che ci sta antipatico dal primo
momento, ma alla fine non dobbiamo sposarlo e la stanza è bella (grandi
letti, bagno privato, televisione, frigorifero, aria condizionata) e
all’esterno ci sono anche due amache favolose per la sera dopo cena. Mollati
i bagagli, è il momento del mare e del sole: che bello essere in costume da
bagno ai tropici in gennaio, mentre a casa nostra (quella vera) magari fa un
freddo cane. La abituale pausa delle ore più calde ci porta oggi a Penonomé,
un centro di media grandezza, celebre per i cappelli, i famosi “panama”. A
dire il vero ci perdiamo in shopping di tutt’altro tipo (bandiere, borse
ecc) restando praticamente a bocca aperta davanti alle scarpe di marche come
Nike, Adidas ecc: sono gli stessi modelli che troviamo in Italia, ma i
prezzi sono abbondantemente sotto la metà.
08/01/2007 PLAYA SANTA CLARA (KM 130)
Non c’è
bisogno di alzarci troppo presto con il mare a due passi e la colazione
praticamente pronta: ananas, banane e spremuta d’arance fatta con le nostre
mani. Un ringraziamento al nostro sponsor, il fruttivendolo dei primi
giorni, che siamo ritornati a visitare nel suo negozietto sulla
Interamericana. Mattina in spiaggia, poi vicini al punto di cottura, scatta
l’operazione “ombra” che oggi ci porta a La Pintada, piccolo centro in mezzo
alle colline, poco oltre Penonomé, famoso per un mercato di artigianato.
Forse “c’era una volta” il mercatino, perché noi setacciamo tutto il paese
da cima a fondo e non ne troviamo neanche l’ombra. Solo un supermercato per
le immancabili patatine e Pepsi. Dobbiamo dire che la spesa a Panama non è
un problema perché in ogni centro, anche il più piccolo e isolato, c’è un
supermercato. Quello che invece lascia perplessi è che tutti, ma proprio
tutti, sono gestiti da cinesi. I cinesi sono dappertutto, pare siano stati
importati al tempo della costruzione del canale di Panama in quanto
manodopera a basso costo; successivamente sono rimasti e si sono riprodotti
in maniera impressionante, come i conigli in Australia. I panamensi non
hanno un gran concetto del lavoro e del sudore e così i gialli, molto più
intraprendenti (probabilmente anche con più soldi da investire, magari di
dubbia provenienza) hanno preso il sopravvento. Anche se potrebbe sembrare
strano, entrare in un negozio da queste parti e trovare la commessa
panamense e il padrone è cinese, è una cosa assolutamente normale.
09/01/2007 PLAYA SANTA CLARA (KM 160)
La
scampagnata di oggi prevede una uscita verso il Parque Nacional Omar
Torrijos (quel signore al quale si deve il ritorno del Canale nelle mani dei
panamensi nel 2000; prima, manco a dirlo, era degli Usa). Superato Penonomé
e la Pintada, si prosegue verso nord, ma i segnali stradali in questa zona
sono piuttosto rarefatti. La strada è deserta e l’unico incontro che
facciamo è con un camion stracarico di gente, come in quei film di storie di
clandestini messicani che cercano di passare il confine Usa. La carreggiata
è anche piuttosto ripida e il camion con il suo carico umano è proprio
davanti a noi: non vorremmo che si inclinasse fino a farcene cadere qualcuno
sul cofano. Finalmente il camion svolta e siccome del parco non c’è neanche
l’ombra, facciamo dietro front e ritorniamo a El Valle (ci eravamo già stati
giorni fa) dove c’è qualcosa che non abbiamo visto: le famose Ranas Doradas.
Si tratta di piccole rane gialle a pois neri che dovrebbero essere diffuse
in tutto lo stato, soprattutto nella zona di El Valle. Ma purtroppo nel
paesino, dei gialli anfibi nemmeno l’ombra. Cerchiamo di pezzarla andando a
visitare un “orquideario”, dove la gentilissima proprietaria ci mostra
orgogliosa le sue serre di bellissime orchidee, visibilmente dispiaciuta per
non poterci mostrare il meglio perché questa non è la stagione per la
fioritura completa di tutte le piante: ci invita a tornare dopo due mesi….
Grazie, signora, ma lo sa dove saremo tra due mesi ?! Dopo aver perso ogni
speranza di trovare le Ranas Doradas ci diamo allo shopping in un negozio di
magliette. Quasi per scherzo chiediamo delle rane alla cassiera: lei sorride
e ci fa cenno di seguirla: nel suo giardino, gelosamente custodita in una
gabbietta, ha una Rana Dorada viva. L’abbiamo trovata finalmente.
10/01/2007 PLAYA SANTA CLARA
Sole e
mare anche oggi, ce la stiamo proprio spassando e cerchiamo di fare il pieno
perché a casa ci aspetta l’inverno. La terapia antiscottature di oggi
prevede una deviazione verso l’interno suggerita dalla Lonely Planet: l’Albergue
Ecologico La Iguana, dove si arriva con una strada di 14 km da Penonomé,
attraverso una bellissima foresta. Si tratta di un albergo con ristorante in
mezzo al verde, dove il gestore, che è anche un biologo, si prende cura di
animali selvaggi, molte volte strappandoli a morte certa (anche qui i
bracconieri non scherzano). Il biologo, che avrà grossomodo la nostra età,
molto gentile e disponibile, ci accompagna attraverso tutta la tenuta, dove
alleva un gran numero di iguane. Sono tranquillissime e si vede che vengono
nutrite e trattate molto bene: con nostra meraviglia, ne prende una e ce la
mette in mano! Il giro prosegue e il biologo ci mostra un ocelot, un felino
maculato piuttosto grande a metà tra un gattone selvatico e un giaguaro. E’
stato strappato ai bracconieri e le sue condizioni adesso sembrano molto
buone, ogni tre giorni viene aperta la porta della sua casetta, tra l’altro
piuttosto spaziosa, e lui può passeggiare libero nell’ampio recinto. Più
avanti ci sono le piscine, ma è meglio non fare il bagno, visto che ospitano
i caimani: riusciamo a vederne uno, che però è piuttosto sgustoso e non esce
completamente. Vedendoci interessati e piacevolmente meravigliati, il
biologo ci chiede se ci piacerebbe vedere il “suo” fiume: certo che lo
vogliamo vedere! Breve passeggiata nella foresta e arriviamo in un vero
paradiso: un fiume verde (ma la nostra guida ci assicura che nel giro di
pochi giorni, passato l’effetto torbido delle piogge, diventerà trasparente)
che scorre tra le rocce in mezzo alla foresta del colore di smeraldo. Di una
bellezza unica. Non sappiamo come ringraziare la nostra guida e così gli
lasciamo un piccolo contributo per i suoi animali. Che giornata stupenda.
11/01/2007 BACK TO PANAMA CITY (KM 250)
Ultimo
giorno di paradiso, scatta l’operazione “back to Panama City”, dove entriamo
trionfalmente attraversando il ponte Las Americas. Sotto di noi c’è il
famoso Canale di Panama con il suo andirivieni di navi, fino ad oggi visto
solamente nei documentari o sui libri. Il ponte ci catapulta direttamente a
Panama City che ci accoglie con uno dei suoi quartieri più malfamati, basta
guardare le facce che ci circondano, ma alla fine il nostro è solamente un
transito. Dopo venti giorni di pace e tranquillità, di spiagge e di foreste,
ritornare in città (una città così caotica, per giunta) è un colpo non
indifferente. Dopo avere attraversato il centro con i suoi grattacieli,
arriviamo al nostro Hotel Riande Aeropuerto (quello della prima notte),
molliamo i bagagli e si riparte, destinazione il Canale e le chiuse
Miraflores. Cinque $ a testa e si sale al quinto piano del palazzo costruito
appositamente per i turisti (all’interno ci sono musei, negozi di souvenir,
ristoranti) che possono vedere il passaggio delle navi, mentre dagli
altoparlanti viene diffusa, in inglese e spagnolo, la storia del canale e la
spiegazione delle operazioni in corso; le chiuse Miraflores sono proprio lì
sotto la terrazza e noi siamo molto fortunati perché viene annunciato il
passaggio di una nave nei venti minuti successivi. Ci godiamo lo spettacolo
del gioco di chiuse e restiamo impressionati dal fatto che per il passaggio
di una nave il pagamento del pedaggio è di 66.000 $, che devono essere
versati almeno il giorno prima, altrimenti ti lasciano là fuori in mezzo
all’oceano fino a quando hai racimolato la grana. Poi scatta il richiamo
della foresta: poco distante c’è il Lago Gatun e il parco nazionale
Soberania e una bella passeggiata nella foresta è proprio quello che ci
vuole. Magari incontriamo anche qualche animale selvaggio. Il sentiero che
percorriamo nella giungla è bellissimo e si snoda tra alberi secolari dalle
radici enormi, attraversando ruscelli e cascate. E chi torna domani in
Italia? Non abbiamo visto animali in libertà, a parte insetti e farfalle, ma
questa escursione è stata impagabile. E adesso è proprio ora di chiudere le
valige, un salto all’aeroporto per riconsegnare la fedele Daihatsu, e poi
ultimo bagno panamense (questa volta però nella piscina dell’hotel). Domani
mattina sveglia prima dell’alba, la Delta Airlines, dopo uno stop di quattro
ore ad Atlanta, ci riporterà al freddo.
Spero vi sia piaciuto
Alla prossima, speriamo presto
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TripFabio