NICARAGUA

 

Ritorno dal Nicaragua...ed eccomi qui a raccontarvi la mia esperienza....

Il lavoro non mi aveva lasciato molto tempo per organizzarmi e quindi, in una mezza serata, mi ritrovo a dover preparare le cose per il viaggio. Mentre tiro fuori lo zaino, riposto nell'armadio solo da qualche mese, sorridendo penso che la continua incertezza che regna ormai nella mia vita da qualche tempo a questa parte comincia a piacermi. 
Forse per questo motivo mi ritrovo a fuggire ogni volta che qualcosa o qualcuno sembra voler scostare questo velo di incertezze? Lo stereo gira un vecchio disco di Janis Joplin comprato ad un mercatino; il fruscio del vinile e la puntina che inciampa in quei piccoli solchi che il tempo ha lasciato sulla superficie del disco  mi fa pensare a come i graffi che il tempo ci lascia sulla pelle, per quanto dolorosi, rendano emozionante il riascolto dei nostri pensieri. Quanti pensieri. Quanti graffi. E' una di quelle sere in cui tante, forse troppe cose vengono messe in discussione. Il vetro della birra appena tirata fuori dal frigo si riempie di gocce e sembra quasi sudare per il caldo dell'agosto bolognese. Apro lo zaino e dentro vi trovo cose dimenticate dall'ultimo viaggio.Dal mio Messico. In un solo istante quell'insieme di emozioni vissute mi travolge come una piena e mi sembra di risentire gli odori e i sapori di una terra amata. 
L'aereo è tra poche ore, e io non ho ancora preparato nulla; alla fine riempio lo zaino pescando quasi a casaccio dai cassetti dell'armadio. Spengo le luci della mia soffitta, lo zaino già appoggiato al muro delle scale, con un movimento della testa  quasi automatico butto un occhio per controllare che tutto sia a posto. Giro la chiave. Si parte. 
Il rumore dei motori dell'aereo è quasi ipnotico. Apro gli occhi mentre una hostess passa e sorridendo mi porge un vassoio con qualcosa che dovrebbe assomigliare a pollo. Incrociamo lo sguardo e, nonostante l'apparenza, sembra profondamente triste. Ha gli occhi neri e profondi. Due labbra sottili macchiate dal passaggio di un rossetto e i capelli raccolti dietro la nuca. E' affascinante. 
L'aereo atterra a Miami, intermezzo obbligato per raggiungere la mia prima tappa: Managua. Nuovo decollo. Poco meno di tre ore e immagino le ruote dell'aereo sbuffare sulla pista. 
Appena fuori dall'aeroporto il caldo e la stanchezza mi fanno sembrare lo zaino improvvisamente più pesante. La maglietta si incolla alla pelle e comincio a guardarmi attorno. Un taxista mi fa un cenno con la mano, e la mia voglia di camminare è quasi nulla. Mi avvicino e come sempre mi accordo prima di salire sul prezzo. Appoggio lo zaino sul sedile posteriore e mi siedo di fianco al posto di guida. Il taxista inizia la più classica delle conversazioni mentre il finestrino sputa nell'abitacolo aria che sembra fuoco, "italiano?... non carico molti italiani sul mio taxi..." dopo una breve sosta, con un tono quasi inquisitorio mi chiede: "perché a voi italiani non piace il Nicaragua?". Lo guardo. Sorridendo rispondo "io sono seduto sul tuo taxi...!". Mi guarda e annuisce. Le strade di Managua sono come quelle di tante grandi città dell'america latina. Caotiche. Calde. Inquinate. Povere. Ai bordi della strada palazzi di recente costruzione coprono sullo sfondo senza nasconderli palazzi in rovina segnati dalle mille avversità che in più di un secolo hanno tormentato la città. Terremoti. Inondazioni. Uragani. E la città ne porta i segni, con dignità. Seduto sul taxi dall'altra parte del mondo ripenso a quel vecchio disco e ai suoi segni. Al pensiero dei graffi del tempo. 
Il taxista mi fa un cenno. Siamo arrivati a Barrio Martha Quezada, una sorta di quartiere residenziale dove si può trovare una camera per dormire ad un buon prezzo. Dopo pochi passi vengo fermato da una signora. Mi chiede se cerco una camera e mi propone immediatamente un prezzo per ospitarmi. La seguo mentre mi indica la casa. Mentre salgo le scale seguendola butto un occhio alle mie spalle. Sembra affidabile ma le apparenze so bene come possono ingannare. Decido comunque di fidarmi contando su quel "sentire" le persone che mi accompagna sempre. La casa è semplice. Dignitosamente povera. Decido di fermarmi per una sola notte. Mi appoggio sul letto e ancora prima di chiudere gli occhi sprofondo in un sonno tranquillo. 
Dopo qualche ora mi riprendo e decido di uscire alla scoperta della città. Arrivo alla Piazza della Repubblica attorno alla quale siedono i monumenti principali. La cattedrale ha un fascino particolare. Varcata al porta si apre un mondo di odori e colori tenui. Anche la temperatura sembra rispettare il luogo ed il caldo decide di non violare il luogo. La gente è cordiale, e a differenza di altri paesi non cerca insistentemente il contatto con il turista. Il giorno seguente decido di prendere un bus per la mia nuova meta, non prima di avere visitato il mercado mayoreo. Incredibile. Migliaia di attività. Un vociferare continuo. Odori forti e sgradevoli che si mescolano a quelli di spezie appoggiate su colorate, penzolanti tovaglie. Come in altri paesi anche qui i bambini sono tanti. Alcuni lavorano. Altri più semplicemente sopravvivono arrangiandosi. Piccoli che si scontrano con una realtà dura, ai limiti del sopportabile. Cerco di non cedere alla tentazione di regalare qualche spicciolo a quelle mani e a quegli occhi che ti fissano dal  basso. Una sensazione di impotenza mi invade e vorrei essere altrove, ma capisco che "sopportare" è necessario per portare qui un pezzo di quella terra. Testimoniare il crimine forse può arricchire quei bambini più di una qualche moneta.
Salgo sul bus che si infila sulla carretera Masaya direzione Rivas. La città sembra seduta a cavallo tra l'oceano pacifico e il grande lago Cocibolca; un buco blu nel mezzo del paese. La città è bella, e a differenza di Managua non trasuda quell'aria di dannazione e sfortuna che si respira per le strade della capitale. Da Puerto San Jorge, vicino a Rivas, si può raggiungere l'isola di Ometepe con i suoi due impressionanti vulcani. La sommità del vulcano Maderas è uno spettacolo incredibile. Il canto degli uccelli è quasi ipnotico e si mescola con il verde della natura e l'azzurro delle acque che riempiono il vulcano. Un enorme catino d'acqua. L'aria è fresca, suoni, profumi e colori si mescolano in un cocktail dal  sapore dolcissimo. Vorrei rimanere li seduto a sorseggiare quei momenti per un tempo tendente all'infinito. Guardo l'acqua e vedo che le nuvole si rispecchiano creando giochi di luci degne di un teatro. C'è un punto in cui il cielo sembra poi buttarsi direttamente dentro l'acqua; un tuffo senza schizzi. Una fusione che ha sapore di sesso.
L'isola riserva altre piacevoli sorprese. I geroglifici d'età precolombiana narrano di un tempo lontano. Mi viene da pensare a quale doveva essere la sensazione dei primi uomini che si insediarono in queste terre. Come doveva essere facile identificare Dio nella natura; come quella terra offrisse spunti per la nascita di miti.
E' tempo di muoversi nuovamente. Mi lascio alle spalle questa strana isola, uno smeraldo dalle mille sfumature in mezzo al blu. La tappa che ho deciso è Gujalpa. Non so molto ancora di questa città, ma il nome mi attira. Non faccio fatica a trovare un albergo dove dormire per la notte. Non è certo il Grand Hotel, ma l'aria che si respira è molto familiare. Mi sveglio e sento tante voci in strada. Mi muovo alla scoperta della città e presto capisco di  essere finito in mezzo ad una festa di paese. Presto scopro che è il giorno della festa de La Asunción.... il nostro ferragosto! Le strade sono animatissime. La gente vive il momento con una gioia quasi ingenua. Alla fine, come avevo già assistito in Messico per carnevale, un povero toro viene montato e sfidato in una specie di rodeo. La festa continua ininterrotta e la sera mi siedo in un tavolino a mangiare quello che ormai chiamo il "pollo del viaggiatore" sorseggiando una birra. Un altro giorno è volto via e come ogni volta mi sento sempre più rapito da queste terre. Da nessuna parte come in questi luoghi dall'altra arte del mondo mi sento bene.
Ritrovo un contatto con la gente e la natura che a casa abbiamo dimenticato, mancano tante cose qui, ma l'uomo è ancora parte di qualcosa. Si cerca di vivere con una natura. Capisco forse come Managua sia sopravissuta agli eventi che l'hanno tormentata. Forse è l'accettazione dell'ineluttabilità degli eventi legati alla natura. Il giorno seguente mi aggrego a due ragazzi spagnoli e con una macchina a noleggio decidiamo di condividere il viaggio verso sud, a San Carlos. La città giace nel punto in cui le acque del grande lago decidono di scappare e per trasformarsi nel fiume di San Juan. 
Arrivati a destinazione le nostre strade si dividono. Amo troppo viaggiare da solo. Da qui vengo a sapere che si può  affittare una specie di lancia da fiume e la cifra per 3 giorni non è proibitiva. Mi lancio in questa avventura e nuovamente mi fido di uno sconosciuto. Il barcaiolo ha un'età indefinita, che può variare dai 50 ai 70 anni. Le mani sono profondamente segnate così come il viso. e ancora mi torna in mente quel disco ancora appoggiato sul piatto dello stereo in una casa lontana migliaia di chilometri. Una buona scorta d'acqua e si parte. Il motore mi lascia alquanto perplesso; male che vada rimarremo a piedi! Il rumore dell'acqua sotto la barca è meraviglioso. Attorno siamo sovrastati dal  verde della foresta. Le scimmie urlatrici sembrano leoni appostati ai margini del fiume pronte a sbranarci. 
La sera come concordato ci fermiamo a dormire sul bordo del fiume. Mi sembra di vivere quasi in un film. Non riesco ad avere paura. Penso per un attimo che se scomparissi qui nessuno mi potrebbe mai più trovare. E' poco più di un lampo però, non so se l'incoscienza o una profonda serenità i fanno trascorrere una serata  ad ascoltare la mia insolita guida rapito dai suoi racconti. Mi addormento sul fondo della barca mentre lui decide di passare la notte all'aperto. La zanzariera mi torna utile. Mai visto tanti insetti tutti assieme. La mattina seguente giungiamo a El Castillo de la Inmaculada Concepción, sdraiato a metà del corso del fiume. E' un'antica fortezza costruita nel 1600 per vigilare sul fiume e sulle imbarcazioni che lo solcavano. Il turismo probabilmente ha permesso di strappalo alla foresta e lo ha riportato a quello che doveva essere il suo fascino "rozzo" di un tempo lontano. Ultima tappa del mio viaggio è San Juan del Note, quella che gli inglesi avevano battezzato ai tempi della loro occupazione Greytown. Saluto con un abbraccio il mio silenzioso e saggio compagno di viaggio. Scendere il fiume assieme a lui è stata un esperienza indimenticabile. Conosce la sua terra e la ama. 
Il mar dei Caraibi è nuovamente davanti a me. Trovata una sistemazione decente mi lascio andare alla vita di mare per qualche giorno, senza tralasciare una visita a Laguna Azul. Acque turchesi. Emozionante. Ultimi giorni che volano via. Ritorno  a Managua con un piccolo aereo e "arrivederci Nicaragua". Salgo le scale. Ho la chiave in tasca; la porta si apre e la ventola sul soffitto sta ancora girando. Mi avvicino allo stereo, sposto il braccio e Janis Joplin riprende a cantare.

Trascorrere quasi 4 degli ultimi 8 mesi in Centro America è una fortuna rara.

Spero di avere vissuto queste esperienze nel modo migliore  e di avervi trasmesso parte delle mie emozioni con il mio racconto.

ciao
Andrea