Finlandia

Qui c'è da fare un cambio: dobbiamo scendere dall'autobus ed attraversare a piedi la cittadina di Tornio, e con essa anche il confine tra i due stati, prima di proseguire il viaggio con un altro autobus diretto a Kemi. L'autista del bus da noi interpellato ci indica vagamente la direzione da seguire, e subito cogliamo l'occasione di accodarci ad un gruppo di persone munite di zaino e biglietto interrail che sembrano sapere esattamente dove stiano andando. Marciamo con passo spedito verso questo piccolo paese di frontiera, che possiamo già vedere chiaramente dalla nostra posizione iniziale. Per fortuna ogni accenno di disturbo organico è appena cessato, e più passa il tempo più recupero forze e salute. Sono nuovamente contento di essere in marcia e soprattutto di stare per entrare in Finlandia. Il confine tra le due nazioni ci è stato descritto come un ponte in mezzo al quale passa esattamente la linea divisoria, e ci aspettiamo una degna e trionfia segnalazione. Niente di tutto questo: entriamo a Tornio senza nemmeno accorgercene. I nostri euro tanto a lungo conservati intatti nella parte più remota del portafogli ora finalmente hanno acquistato valore, il ponte è un’anonima ed insignificante striscia di pietra senza uno straccio di indicazione. Non abbiamo tempo di rimanere delusi, il bus per Kemi parte tra pochi minuti e dobbiamo sbrigarci a prenderlo. Lo raggiungiamo all'ultimo secondo: un altro colpo di fortuna sfacciata. Oltretutto anche questo viaggio è gratis con l'interrail, sembra che le cose abbiano ripreso a girare per il verso giusto.

Vediamo subito persone di fattura diversa da come eravamo abituati a vedere solo qualche ora prima: i finlandesi, così bianchi di pelle e platinati di capelli, sono davvero inconfondibili con gli altri nordici. Anche la lingua finlandese, quasi per nulla influenzata dalla cultura anglosassone, è assolutamente incomprensibile, al contrario del norvegese o dello svedese che sono molto più abbordabili per chi conosce l'inglese. L'autista dà il resto dei soldi ai pochi passeggeri saliti subito dopo di noi, tramite una macchinetta ingegnosa: basta schiacciare dei pulsanti, uno abbinato ad ogni calibro di moneta, tante volte quante monete se ne vogliono prelevare, trovandosele direttamente in mano e del giusto valore. Un altro esempio delle piccole migliorie che qui si vedono così spesso e che aiutano a semplificare la vita. Il viaggio nel percorso misto tra urbano ed extraurbano dura solo un'ora, ma non mancano le sorprese: ci accorgiamo subito che la guida su strada in Finlandia segue regole diverse. In pratica non esistono gli incroci con lo stop, chi viene da destra ha sempre e comunque la precedenza anche se proviene da una strada secondaria. Per chi si avventura in macchina in questa nazione e non è preparato, gli incidenti sono assicurati. Fortunatamente, viaggiando in treno non si hanno problemi…le rotaie sono molto meno interpretabili rispetto alle strisce d’asfalto.

Kemi è solo una breve tappa di passaggio per approdare a Kuopio, la nostra vera destinazione situata nel cuore della Finlandia. Tutto ciò che facciamo qui è camminare per centinaia e centinaia di metri prima di trovare un supermercato in cui rifornirci di cibarie. Ci sono negozi di ogni tipo, ma stranamente gli alimentari sembrano scarseggiare: ogni negozio che ci pare possa vendere cibarie in realtà vende vernici, mobili, ferramenta, vestiti, tutto meno che il cibo. Finalmente trovato il grosso alimentari e riforniti di viveri a prezzi ridicoli grazie ai consistenti sconti offerti dal supermercato tedesco, prendiamo il nostro treno per Kuopio. Anche questo viaggio è completamente gratuito per noi che mostriamo questo biglietto stampigliato con caratteri antichi come si trovavano nelle ormai dismesse macchine da scrivere, e finalmente ci possiamo rilassare avendo davanti una sferragliata di diverse ore, senza soste nè cambi.

Foreste

Il paesaggio finlandese è quanto di più monotono mi sia capitato di vedere in vita mia: foreste di abeti rossi e betulle, e null'altro. Così sterminate da parere infinite, per ore e ore mai un cambiamento, se non per qualche raro lago (nella regione centro-settentrionale non se ne trovano poi così tanti, sono quasi tutti concentrati a sud-est). Il legname di questi alberi è adatto a produrre fogli di carta e a costruire mobili e abitazioni, ma la coltura intensiva a cui è soggetto rappresenta un pericolo per l'ambiente: coltivare sempre e solo una o due specie di alberi porta a sconvolgimenti anche gravi dell'ecosistema, che ha bisogno di biodiversità spiccata per garantirsi la sopravvivenza. Le industrie cartiere finlandesi inquinano i fiumi e i quasi duecentomila laghi della nazione, rendendoli tra i più sporchi dell'intera Europa nonostante la loro apparente estrema purezza. Forniscono pur sempre lavoro ad un enorme parte della popolazione finlandese, e non potrebbe essere altrimenti con i tre quarti del territorio coperti da boschi, rendendo però la situazione un dilemma: come fare per continuare una produzione soddisfacente che sostenti adeguatamente i circa cinque milioni di abitanti, ma che sia contemporaneamente sostenibile per l'ambiente? Noi della questione ambientale vediamo solo il risvolto paesaggistico: una noia mortale, nonostante tutto quel verde sia piacevole da osservare rispetto ad anonime colate di cemento e sabbia. Una noia strana, a metà tra l’ammirato e l’apatico, per questo paesaggio che potrebbe far impazzire, se visto per giorni e giorni consecutivi sempre uguale.

Solo rarissimamente le foreste si aprono per lasciare spazio a qualche pianura, o a quattro timorose case raggruppate assieme come per non essere inghiottite nel nulla se osassero separarsi, o a un industria di legname o una cartiera. Ci chiediamo seriamente cosa succederebbe se il treno si guastasse in mezzo a queste sconfinate distese di niente, ma preferiamo non pensarci una volta immaginato quanto dovremmo aspettare prima che qualcuno ci soccorra, nonostante immaginiamo che i soccorsi finlandesi siano efficienti e preparati a queste eventualità. Sui nostri sedili foderati di blu caschiamo dal sonno e dalla noia, stanchi morti. Tutto ciò che desideriamo ora è un letto vero su cui stravaccarsi senza più muoversi per una giornata intera.

Ultimo sforzo

In qualche modo passa anche questo estenuante viaggio e giungiamo alla stazione di Kuopio. È di nuovo il momento di drizzare le antenne e darsi da fare per trovare l'ostello, che pare essere situato in cima ad una collina, raggiungibile solo a piedi non essendoci mezzi pubblici che servono la zona. Al primo tentativo sbagliamo strada, imprecando, al secondo l'azzecchiamo ma abbiamo davanti due chilometri di salita, di cui uno e mezzo decisamente ripido che sembra non finire mai. Per di più, una densa nebbia rende impossibile capire quanta strada rimanga effettivamente da percorrere. Gli zaini pesanti addosso ci costringono a sudare copiosamente e a fermarci spesso per riportare i battiti del nostro cuore alla normalità e lasciar smaltire l'acido lattico agli affaticati muscoli delle gambe. Ogni volta che pensiamo che la curva che abbiamo davanti sia l'ultima, scopriamo che c'è ancora un po’ di strada da fare, è una tortura vista tutta la stanchezza che abbiamo addosso. Non pensavo davvero che due chilometri potessero essere così lunghi! Oltretutto la reception ha un orario di chiusura, dobbiamo muoverci o rischiamo di rimanere chiusi fuori.

Pezzati di sudore da capo a piedi, con la gola riarsa, finalmente arriviamo in cima, giusto mezz’ora prima del tempo limite. Finalmente possiamo avere le nostre chiavi e riposarci, sempre che prima si riesca ad aprire quella dannata porta della camera: la chiave si incastra nella toppa, non gira. Ormai siamo a un passo dalla salvezza ma dobbiamo tornare indietro a chiedere un passepartout per entrare, idea che ci riempie di indolenza ma sembra che non ci sia alternativa, la porta non ne vuole proprio sapere di aprirsi. Con un gesto di rabbia giro la chiave più violentemente, giusto un attimo prima di iniziare ad andarcene, e come per magia la serratura finalmente scatta e la porta si apre, mostrandoci una bella sorpresa: la camera è doppia! Nessuno che ci possa dare fastidio, il bagno in camera con doccia incorporata, siamo logicamente felici. Una bella lavata è proprio quello che ci vuole per far scivolare via la stanchezza e il sudore che ormai non sopportiamo più. Dopo la doccia ci sentiamo meravigliosamente bene, mangiamo con notevole appetito le vivande procurateci al supermercato, facendo il bis più volte (con memorabile scena di apertura della scatoletta di tonno priva di apertura a strappo, usando prima coltello, poi coltellino svizzero e infine forbicine per le unghie finalmente con successo). Dopo non molto ci addormentiamo, recuperando le forze perdute in previsione della giornata intensa che sarebbe seguita: avremmo provato la famosa Jätkänkämppä, la sauna tradizionale finlandese più grande del mondo. Potremo usufruirne grazie all'ennesima fortunata coincidenza: è aperta solo due giorni alla settimana, martedì e venerdì, e casualmente domani sarà proprio martedì. Questione di destino che, nonostante tutto quello che si può dire e non dire, esiste eccome.
Torre panoramica

Un’ottima dormita ci rigenera nel corpo e nello spirito, siamo di nuovo pronti a tutto. La colazione a buffet è inclusa nel prezzo, da cui ci alziamo di buon ora per approfittarne prima che il grosso venga saccheggiato impunemente dagli altri affamati clienti. C'è veramente di tutto: approfittiamo in modo indegno, mangiando da scoppiare. Finalmente una colazione decente e sostanziosa, dopo giorni e giorni a mangiare schifezze dal molto approssimativo valore nutrizionale. Toast con la marmellata di frutti di bosco, croissant, corn flakes immersi nello yogurt, caffelatte e succo di frutta, insomma ogni ben di Dio. Usciamo con la pancia piena e il sorriso stampato sul volto, prepariamo velocemente i nostri pratici zainetti per uscire, e saliamo per goderci una breve panoramica sulla grossa torre a poche decine di metri dall'ostello. La sera prima nemmeno l’abbiamo vista, tanto era nascosta dalla fitta nebbia. La vista da lassù è ottima: c'è molto vento da cui non rimaniamo a lungo, ma possiamo ammirare finalmente i famosi laghi finlandesi visti nell'insieme. Sono tutti vicini gli uni agli altri con qualche sperduta conifera che cresce negli isolotti al centro di alcuni di essi, un paesaggio assolutamente peculiare. Nella zona di Kuopio i laghi sono estremamente numerosi: molti hanno descritto la vista che si ha dalla torre su cui noi ora ci troviamo come la migliore possibile per avere un quadro d'insieme dell’intera nazione. Foreste e laghi, d’inverno completamente trasformati in neve e ghiaccio, oltre alle onnipresenti saune, addirittura una ogni otto abitanti. Questa è la Finlandia.

Tutto esaurito

Discesi dalla torre, torniamo qualche minuto in ostello per organizzarci bene e soprattutto prenotare gli ostelli di Helsinki e Stoccolma, le nostre ultime due tappe. E' una parola: ci siamo svegliati decisamente tardi a prenotare, causa anche gli ultimi giorni decisamente stressanti. La nostra Lonely Planet finlandese ci dà una scelta di cinque ostelli nel centro di Helsinki: ci permettiamo perfino di valutare pregi e difetti di ognuno, stilando una lista di quali provare per primi e quali per ultimi, mettendo in cima quelli con la colazione inclusa e in fondo quelli più lontani e con meno agevolazioni. Telefoniamo al primo ostello: è pieno. Ripieghiamo sul secondo, che è pieno anche lui. Il terzo e il quarto, che fino a poco prima erano le scelte di ripiego se proprio non ci fosse stato alternativa, diventano le nostre ultime speranze, ma anche loro sono inesorabilmente "fully booked".
Capiamo che non possiamo permetterci molta scelta: mano a mano che chiamiamo anche quelli minori, segnati sull’utile carta ostelli donataci da Pavel, ci sentiamo rispondere che sono tutti pieni anche loro per i prossimi due giorni. Ci riduciamo a sperare in un qualsiasi buco che abbia una branda di qualche genere e quattro mura attorno: ne chiamiamo almeno una ventina, sempre senza successo. Davide è ormai nauseato dalla solita frase che è costretto a ripetere ossessivamente ad ogni chiamata "Hi, we're two guys and we're looking for two beds for two nights...". Spendiamo settanta euro di telefonate in poche decine di minuti. Ormai disperati, tutto quello che otteniamo è una sistemazione a Stoccolma un po’ disagevole per il primo giorno, meno per i successivi due, mentre per Helsinki rimane tutto in sospeso. Esaurita la lista, non ci resta che chiamare il centro di assistenza per il turismo a Helsinki. Ci vogliono decine di tentativi per azzeccare il numero giusto: una volta manca lo zero, una volta manca il prefisso, una volta ci vogliono due zeri e non uno, un’altra volta ancora gli operatori non parlano inglese, o addirittura componendo il prefisso finlandese ci risponde gente che parla in italiano chiedendo con fare seccato chi siamo e cosa vogliamo. Composto finalmente il numero giusto, apprendiamo che gli ostelli sono tutti prenotati e che dovremo soggiornare in albergo, prontamente prenotato ad un prezzo equo. Anche questa è andata.

Kuopio

Rinfrancati dall'aver risolto il problema, è giunto il momento di visitare finalmente il centro di Kuopio, in attesa di raggiungere la sauna che aprirà solo alle cinque del pomeriggio. La cittadina è piena di vita: la piazza del mercato centrale è un fermento di bancarelle che vendono di tutto, dai ribes e lamponi alle magliette con la bandiera finlandese, fino alle coloratissime matrioske cinesi. Il mercato coperto, Kauppahalli, è ancora più ricco di prodotti, specialmente culinari: sono irresistibilmente attratto da una barretta di cioccolato al mirtillo, mangiata subito dopo in un impeto di curiosità, semplicemente squisita! Ovunque abbondano i negozi e i distributori automatici di caffè, la bevanda preferita dei finlandesi: con un consumo medio di quattordici chilogrammi annuali, pari a circa nove tazze giornaliere, si collocano come i primi estimatori al mondo di questa bevanda. Divertenti le tradizioni nordiche quando si viene invitati a casa di qualcuno in Finlandia: il caffè va rifiutato per tre volte, accettando poi di berne solamente mezza tazza alla quarta offerta, e finendo poi con il berne quantità spropositate.

Dopo il mercato cerchiamo un posto dove riposarci e troviamo un parco che contiene al suo interno un inquietante cimitero militare, ognuno con le lastre di pietra levigata incise con nomi e cognomi degli sventurati. Ognuna ha il suo mazzo di vistosi fiori rossi, a perenne ricordo di una morte assurda ed insensata. Un cimitero militare è la lampante dimostrazione di una stupidità immensa che ogni volta che mi viene messa davanti stento a comprendere e mi viene solo da rigettare, ma che purtroppo è ineliminabile, fa parte di noi. Quando siamo stanchi di osservare il triste monumento e di farci assalire dalle vespe che hanno ricominciato a tormentarci, stavolta coadiuvate da dei fastidiosissimi moschini che in Finlandia abbondano d'estate, prendiamo l'autobus per la zona dove si trova la nostra tanto declamata sauna.

Jätkänkämppä

L'autobus ci abbandona davanti ad un sentiero sterrato che si inoltra nel bosco proprio di fianco ad un lago: lo imbocchiamo senza remore, curiosi di scoprire le dimensioni della sauna “più grande del mondo”. Per me è una cosa completamente nuova, sono un “esordiente totale”, e farla per la prima volta proprio qui è un'idea elettrizzante. Le temperature che si trovano in questi forni di calore secco variano dagli ottanta fino a quasi cento gradi. Questa infatti è una Savu-sauna, letteralmente sauna di fumo: la camera rovente viene scaldata ventiquattro ore prima dell'uso per essere alla temperatura giusta quando viene aperta al pubblico, e il calore è prodotto dalla combustione della legna e non dal vapore acqueo che si forma gettando acqua sulle pietre roventi, come succede nelle saune tradizionali. L’intera costruzione è situata immediatamente adiacente al lago, permettendo dei veloci tuffi ai temerari che volessero provarli. I finlandesi questi tuffi li fanno anche in inverno, rompendo il ghiaccio che si forma sulla superficie del lago, per non perdersi nemmeno una possibilità di dare un po’ di salutare shock termico al loro corpo: la sauna è l'elemento caratterizzante la loro cultura, usata per curare qualsiasi malattia o malessere. Dal banale raffreddore fino alle patologie più serie, nulla è escluso. Contrariamente a ciò che si può pensare, la sauna non è usata per tentare approcci con l'altro sesso, ma solo per meditare un po’ e depurarsi il fisico e l'anima.

Dopo una serie di bivi in mezzo alle foreste popolate da libellule e altri insetti enormi, appare questa costruzione di legno, delle dimensioni di un cottage estivo medio. C’è un ristorante tipico dall'altro lato che serve cibo solo in corrispondenza dell'apertura della sauna, e la capanna dei taglialegna che periodicamente danno una dimostrazione della loro abilità, sfasciando tronchi a colpi d'ascia sicuri e precisi come sanno fare i popoli che vivono di legname dai loro albori. L'atmosfera lacustre è peculiare: i giunchi che spuntano ovunque dall'acqua ondeggiano leggermente con il vento, mentre gli alberi lasciano intravedere solo una piccola porzione di lago, in realtà piuttosto vasto, come si può apprezzare bene una volta sulla riva. Qualche tronco è immerso per metà nell’acqua, abbandonato a marcire: forse non è legno buono da lavorare. Dei rimasugli di legname stanno bruciando proprio di fronte all'acqua, producendo dei gran sbuffi di fumo che il vento spinge nella nostra direzione, facendoci tossire a più non posso. Siamo costretti a spostarci e a ripararci dietro gli edifici finchè il fuoco non sarà spento completamente. Le passerelle di legname in mezzo ai boschetti portano a dei piccoli rifugi e capannine in cui certamente non si può abitare, ma che servono solo per i bivacchi, o almeno così era in passato.

La sauna aprirà di lì a un paio d'ore, lasciandoci il tempo di mangiare un panino con della succulenta carne di alce in scatola comprata al supermercato, e di metabolizzare il tutto sufficientemente per poter entrare senza rischio di pericolosi blocchi digestivi. Mentre stiamo aspettando arriva un gruppo numeroso di italiani, tutti muniti di asciugamano, che entrano immediatamente discorrendo sui benefici delle saune e sulle differenze tra quelle secche e umide. Dopo aver deciso arbitrariamente che la nostra digestione è durata a sufficienza, entriamo anche noi prima che la sauna si riempia: la capacità teorica è di sessanta posti, che possono arrivare anche a centotrenta se piena fino a scoppiare, ma è meglio non rischiare: la gente inizia ad arrivare a frotte. Il gentilissimo e sorridente gestore dagli enormi occhi azzurri ci ricorda che possiamo usare la student card, casomai ne avessimo una, per ottenere uno sconto sul biglietto: un’altra dimostrazione di onestà, sarebbe potuto stare tranquillamente zitto e incassare di più. Depositati gli zainetti e ogni cosa di valore nel ripostiglio, affidandoli direttamente alle mani di lui senza timore di frodi, entriamo nello spogliatoio. Diversi uomini nudi o quasi si stanno asciugando e rivestendo senza fretta. Inizialmente credo che quella stanza sia già la sauna, sentendo un gran calore umidiccio, ma capisco subito che è solo lo spogliatoio. Rimaniamo in costume, anche se i finlandesi non ne vedono di buon occhio l'utilizzo perchè il calore intenso potrebbe degradarlo liberando molecole tossiche, oltre a impedire ai tessuti sottostanti di traspirare normalmente. Per sicurezza chiediamo espressamente al gestore se sia consentito usarlo, indicandoglielo a gesti data la nostra ignoranza nella traduzione della parola "costume" in inglese, e la risposta è affermativa.

Una volta pronti e muniti di due asciugamani, entriamo in un locale un po’ più caldo, con delle docce a muro. Nemmeno quella è la sauna! Vedo una porta sul lato aprirsi e qualcuno entrare coperto solo da un asciugamano legato attorno alla vita, allorchè capisco che la camera del calore è lì dietro. Non ho idea di cosa mi stia aspettando in quella fornace, da cui entro con decisione. Non appena mi rendo conto della temperatura interna, rimango scioccato. L'ambiente è incandescente, quasi insopportabile: il muro di calore mi investe in pieno e sento quasi subito i battiti del mio cuore accelerare convulsamente. Mi siedo, camminando lentamente per non peggiorare le cose, su una delle tre file di panche di legno. Evito accuratamente quelle della fila più in alto, ricordandomi tutt'a un tratto che il calore tende a salire verso l'alto. Dopo nemmeno una ventina di secondi sento già la pelle, che fino ad un attimo prima era asciutta, riempirsi di sudore ovunque: nei capelli, tra le dita, sulla pancia, sui polpacci, una sudata generalizzata. È una sensazione mai provata prima, credo di sentirmi male ma è solo l'emozione, in men che non si dica stiamo tutti e due letteralmente nuotando nel nostro sudore. Respiriamo mano a mano sempre più normalmente grazie alla natura secca di quel calore che non opprime i polmoni, ancora un po’ frastornati da questo ambiente così ostile ma tutto sommato anche piacevole. I (pochi) finlandesi ivi presenti, ligi alla tradizione, prelevano l'acqua bollente da delle ciotole metalliche, usando dei mestoli sparsi per le panche anch'esse roventi, e la lanciano sul braciere producendo getti di vapore sfrigolante che vanno ad aumentare ancora di più la temperatura. Le dimensioni della stanza quadrata, che è realmente la più grande del mondo, non superano i cinque metri di lato, per due metri abbondanti di altezza: alla faccia della grandezza! Ma non c’è trucco: le classiche saune finlandesi che si trovano nelle case sono grandi più o meno come un’utilitaria.

Tuffo nel lago

Presto la temperatura e le condizioni della nostra pelle ormai completamente impiastricciata si fanno insopportabili, sentiamo il bisogno di uscire da quella fornace che ci sta consumando. Traballando sulle gambe usciamo lentamente dalla camera infuocata, e appena fuori dalla porta il sollievo è quasi immediato. Non osiamo fare subito il tuffo nel lago preferendo come prima volta una "semplice" doccia gelata. In qualsiasi altro momento una cascata d'acqua addosso a quella temperatura ci bloccherebbe il respiro istantaneamente, ma adesso è quanto di più rigenerante ci possa essere: il getto d’acqua, freddo che più freddo non si può, sulla pelle caldissima sembra quasi tiepido. Dopo un paio di minuti di doccia, gradualmente spostata su temperature più canoniche, decidiamo di rientrare: è assolutamente da rifare! Il ritorno nell'altoforno è meno traumatico adesso che la nostra pelle è più umida, sarà l'acqua che ci è rimasta addosso ad evaporare per prima, tenendoci un po’ più freschi. Rimaniamo dentro qualche minuto di più, non più con la lingua paralizzata dallo shock e dall'arsura: stavolta conversiamo quasi normalmente anche se non c'è molto da dire, preferiamo concentrarci sulle sensazioni fisiche. Il prolungamento del tempo passato lì dentro ha ora una finalità precisa: tra poco proveremo il tuffo nel lago, dobbiamo accumulare molto più calore. Usciamo dopo cinque minuti circa, sulla passerella di legno all'aperto. Avvertendo a malapena il vento sferzante, camminiamo il più velocemente possibile verso il molo di legno. Davide si tuffa a peso morto, con una gran spanciata: il tempo di rendersi conto della temperatura del lago e subito strabuzza gli occhi, terrorizzato, uscendo il più velocemente possibile. L’acqua deve essere proprio fredda!

Non sapendo nuotare io mi devo immergere gradualmente, scendendo i gradini al limite del ponticello. Arrivo con l’acqua alla gola, è un altro shock! L’acqua è decisamente fredda anche se infinitamente meno ora che ho assorbito tutto quel calore. Di certo quando non ero ancora entrato in sauna mai e poi mai mi sarei buttato nel lago così! Uscendo dall'acqua non abbiamo nemmeno troppo freddo, ci copriamo solamente lo stomaco con l'asciugamano per evitare una congestione e subito torniamo dentro, per rifarlo ancora quattro volte tra caldo e freddo! Le ultime due volte Davide si tuffa in acqua correndo a più non posso, imprecando a denti non troppo stretti contro chi involontariamente intralcia il percorso fino al ponticello. Riesce comunque a buttarsi abbastanza velocemente, per amplificare ancora di più l’effetto shock dell’acqua fredda. È come una droga, invita a rifarla ancora e ancora: piacevolmente rilassante, estremamente salutare. Dopo un certo tempo avvertiamo un po’ di stanchezza da tutto quello strapazzamento, i polpastrelli delle dita si sono raggrinziti tantissimo, completamente macerati nell'acqua e nel sudore. Da cui decidiamo di finirla lì e di farci l'ultima doccia per rimetterci in sesto prima di andarcene.

Relax

Dieci minuti dopo siamo di nuovo vestiti e privi di qualsiasi stanchezza o malessere fisico residuo: i benefici della sauna sono davvero consistenti, ci si sente proprio un'altra persona, come nuovi. Per coronare al meglio la giornata, ci concediamo un bel boccale di birra contornata da degli ottimi cracker sulle panchine fuori dal cottage. Guardando la gente in costume che si tuffa nel lago, senza essere più parte di loro, ci torna in mente quello che pensavamo fino ad un’ora prima: sono pazzi ad andare in giro nudi con questo freddo! Ci improvvisiamo poi guide turistiche quando una famiglia italiana viene a chiederci informazioni su come funzioni la sauna, e siamo molto contenti di poterli aiutare, questo shock termico ci ha messo particolarmente di buon umore. Siamo pienamente soddisfatti: anche questa è andata, e siamo sopravvissuti ancora una volta. Lasciamo questa scena dopo aver assistito alla divertente scena di un pescatore che arriva svuotando rumorosamente degli interi torrenti d'acqua dai suoi stivali, tra le risate generali. È tempo di risalire sul bus e tornare al nostro ostello, domani partiremo ancora da qui, alla volta della capitale di questa affascinante regione.

Verso Helsinki

Sono io il primo ad alzarsi dal letto, alle sei e tre quarti, due minuti prima che suoni la sveglia all'ora programmata. Ormai ho sviluppato una sorta di orologio biologico tarato sulle frequenze del viaggio, che mi fa spesso ridestare all'ora giusta senza quasi bisogno di puntare alcuna sveglia. Una velocissima colazione ancora una volta gratuita, poi riprendiamo sulle spalle i pesanti zaini, sempre più carichi di biglietti timbrati e scontrini dei negozi tutti accuratamente conservati per non perdere nemmeno un pezzettino di ricordi, e scendiamo per l'ultima volta da quella collina. Il peso degli zaini ci tira in giù molto velocemente e siamo costretti spesso a rallentare volontariamente per non sfracellarci gli alluci dentro le scarpe. Io sono fermamente intenzionato a fare l'autostop se solo passa un'automobile: non è un metodo perfettamente sicuro, ma avendolo già fatto una volta in vita mia quando ero poco più che bambino ed essendone uscito perfettamente indenne, non avrei problemi a rifarlo. Non passa però anima viva su una macchina, se non in senso contrario al nostro, e la strada ce la facciamo tutta a piedi anche stavolta. Il treno è munito di una carrozza a due piani in cui abbiamo prenotato i nostri posti: scopriamo solo una volta a bordo che ci toccano i posti adiacenti all'area attrezzata per i bambini, dai piccoli ai piccolissimi. Risultato: cinque ore di viaggio tra urla, risatine, pianti inconsolabili, versi e sbrodolii, madri disperate che non sanno più come far stare zitti i loro pargoli. Il resto del treno è pieno zeppo di altri posti vuoti per sederci che non possiamo usare, ma sopportiamo tutto senza lamentarci. Non possiamo trovare molta distrazione nel paesaggio: anche andando al sud le cose non migliorano di molto, è sempre tutto estremamente lineare ed uniforme. C’è solo qualche lago in più, che osserviamo dal nostro finestrino con decrescente interesse.

Non scendiamo direttamente alla stazione centrale di Helsinki, bensì alla fermata prima: il nostro albergo, un po’ fuori zona, si trova proprio in corrispondenza della penultima sosta. Nella stazione in cui arriviamo ci sono indicazioni per ogni luogo meno che per dove dobbiamo andare noi, i bigliettai non parlano inglese (o almeno così affermano vivacemente) e non ne vogliono sapere di ascoltarci. Non siamo abituati a questo trattamento e rimaniamo un po’ delusi, ma almeno ci rispondono indicando sbrigativamente una direzione col dito quando insistiamo per dirgli almeno il nome dell'albergo dove siamo diretti. Decisamente scortesi, ma non è detto che i nordici debbano per forza essere gente educata e gentile, ogni cesto ha la sua mela marcia. Camminando in quella direzione finiamo in uno strano quartiere, fatto di sopraelevazioni di cemento intervallate da sprazzi di verde, in cui si alternano enormi edifici commerciali e più modeste palazzine residenziali, ed anche una biblioteca per soddisfare la voglia di lettura del popolo con il più alto tasso di libri e quotidiani letti nell'intera Europa. Dopo un po’ di peregrinazioni e di informazioni chieste ai passanti, giungiamo al nostro mastodontico residence, in una zona decisamente periferica.

L’albergo delle meraviglie

E' decisamente un’oasi nel deserto rispetto agli ostelli in cui siamo abituati ad alloggiare: lussuoso, pulitissimo, decorato in ogni modo possibile. E dire che è il più economico della zona. Veniamo trattati con gentilezza estrema dalla bionda receptionist, che ci illustra ogni singolo dettaglio di funzionamento dell’hotel. La nostra camera, all'ottavo piano, è stratosferica. Tanto per dare un’idea, è munita di comodità esagerate come lo stirapantaloni (!), un intero servizio di bicchieri, frigobar con ogni genere possibile e immaginabile di superalcolico (ma a prezzi ovviamente esagerati), televisione con il messaggio di benvenuto "Dear Mr Davide" e le istruzioni visualizzate per informarsi sulle funzioni e servizi alberghieri, il ferro e l'asse da stiro, una presa per il modem addirittura allungabile, asciugacapelli, bustine di cappuccino già pronte da miscelare con l’acqua fatta bollire direttamente in camera con la macchinetta apposita, luci che si accendono e si spengono automaticamente inserendo la carta magnetica nella fessura, e tantissimo altro ancora. Il tutto a poco più di quaranta euro a notte. Paragonato agli alberghi italiani, che per la stessa cifra offrono un terzo di tutto ciò, è lo specchio di una nazione veramente ricca ed evoluta, attenta alla qualità dei servizi per i suo cittadini.

Helsinki

La capitale della Finlandia è una città famosa per le sue molteplici influenze culturali e la sua variegatezza. Si parlano indifferentemente due lingue ufficiali eppur così dissimili, il finlandese e lo svedese, e si notano chiaramente le influenze russe, data la grande vicinanza col territorio sovietico e la lunga storia di battaglie e collaborazioni che li accomuna. Appena usciti dall'affollata stazione centrale, vediamo subito una città molto animata, mille volte più di Oslo: c’è gente di ogni nazionalità, edifici di ogni tipo di architettura, generalmente non molto elevati. Il sistema di trasporti pubblici e di regolamentazione del traffico è ottimo: Helsinki è tralaltro l'unica città finlandese a fare uso di metropolitane e tram. Dopo una breve sosta ad un fast food la nostra prima tappa è il conosciuto Kauppatori, il mercato del pesce all’aperto: passiamo solo davanti alle sue bancarelle arancione brillante, promettendoci di rivisitarlo in seguito, tirando dritto per vedere subito la famosa chiesa luterana, il cosiddetto Duomo di Helsinki situato in piazza del Senato, accoppiato alla statua di Alessandro II di Russia che si staglia fiero in mezzo alla piazza sul suo cavallo anch'esso di pietra. La chiesa è molto sopraelevata e domina tutta la città, con queste scale interminabili su cui siedono costantemente orde informi di turisti, l'enorme cupola centrale, le pareti bianchissime sia all'esterno che all'interno, così perfettamente levigate e candide da sembrare di ghiaccio. È la prima chiesa totalmente priva di affreschi che vedo. Ha il suo fascino, è veramente imponente. La zona è invasa dai visitatori, italiani in primis, per cui ci spostiamo presto in un'altra area più tranquilla, a vedere una vera meraviglia di architettura e gusto artistico: la Uspenskin Katedraali, chiesa ortodossa dall'inconfondibile stile russo. Ha le murate rossastre e le classicissime cupole d'oro a cipolla, di cui due su un lato appena sostituite che brillano decisamente più delle altre. Magnifica all'esterno e soprattutto all'interno, che riusciamo a vedere non più di un minuto prima che chiudesse. Ammiriamo tutti i quadri che tappezzano la parete, anch'essi riccamente decorati e dorati, e finiamo con uno sguardo fugace rivolto all'altissima cupola, in parte coperta da uno sfarzosissimo lampadario dalle mille candele.

Riprendendo a girare per le vie del centro, ci viene l'idea di comprarci qualcosa di alcolico, per festeggiare degnamente almeno una serata con una buona bottiglia: l'idea è subito accolta, ma dobbiamo stare attenti a come fare. Anche in Finlandia gli alcolici non sono ben visti dalla polizia, e si vendono solo in negozi appositi (nonostante ciò non riduca di molto il problema dell’alcolismo anche qui molto sentito). Veniamo a conoscenza di un negozio di alcolici non molto lontano da dove ci troviamo, e lo puntiamo speditamente: l'età necessaria l’abbiamo superata, nessun impedimento. In quel negozio c'è ogni tipo di alcolico esistente al mondo, vini provenienti da ogni angolo del pianeta, Italia inclusa, si arriva perfino all'Australia. Individuo quasi subito una solitaria bottiglia di vermouth rosso a buon mercato, in un angolino di uno scaffale e coperta da un leggerissimo velo di polvere, a testimoniare il tempo che ha passato lì senza che nessuno la prendesse in considerazione. Insisto per comprarla, snobbando il ben più gustoso ma costosissimo Martini che campeggia in bella vista poco più sopra, perfettamente pulito. Alla fine ho la meglio: l’impolverato ma onesto vermouth sarà il nostro festeggiamento della serata, quando torneremo all’ovile.

Sotto la pioggia che inizia a cadere leggera arriviamo ad un imponente chiesa tedesca, purtroppo chiusa. E' un vizio dei nordici quello di aprire le chiese solo per pochissime ore al giorno, non riusciamo veramente a capire il perchè. Un po’ scornati proseguiamo arrivando ad un'altra chiesa (sono veramente tante qui!), dedicata a San Giovanni: ricorda un po’ Notre Dame di Parigi per le sue due torri identiche sulla parte frontale, enormemente alte. Anch'essa è di stile luterano, è la chiesa in pietra più grande della Finlandia. Magnifica all'interno e all'esterno, specie nelle vetrate colorate, la mia parte preferita di ogni chiesa: hanno un che di celestiale, che non può fare a meno ogni volta di lasciarmi senza fiato, come quando visitai la Sainte Chapelle, una piccola cappella gotica nel centro di Parigi quasi interamente composta da vetrate coloratissime e celestiali.

Dopo questa meraviglia tocca ad un'altra chiesetta luterana dall'altra parte della città, completamente incastonata nella roccia: dopo una lunghissima camminata per raggiungerla, fortunatamente la troviamo ancora aperta. Il sacerdote, con il suo lungo abito talare verde, sta celebrando messa. La roccia forma un cerchio tutto attorno alle panche e all'altare, con l'organo incastrato in un'altura sulla sinistra. Il tetto ramato è sostenuto da dei fitti piloni di acciaio su tutta la circonferenza, con un effetto di contrasto tra l'antico e il moderno davvero sorprendente. Ascoltiamo un po’ il prete finlandese mentre declama i passi del Vangelo nella sua lingua così incomprensibile, per poi ritornare sui nostri passi fino all’albergo.
 
Il vermouth

Soddisfatti dalla giornata molto produttiva, escogitiamo ogni sistema possibile per rendere la pantofolaia serata divertente: in un lampo di genio, cerchiamo di connettere il lettore Mp3 alla televisione, sperando che siano compatibili, ma non è munita di presa adatta. Così ripieghiamo mettendo gli auricolari a volume massimo e incollandoli con lo scotch agli angoli della televisione, rivolti verso di noi e verso l'alto per sentire il più possibile, cose che solo due malati di mente si possono inventare. Apriamo la bottiglia soddisfatti, vuotandola lentamente bicchierino dopo bicchierino, in allegria. I momenti più divertenti si verificano quando Davide fa una capriola sul letto e io gli intimo di smetterla di fare quei "trabaglioni", parola completamente senza senso, non so assolutamente cosa avessi voluto dire, mi è uscita proprio spontanea. Altro momento da risate assicurate è quando tento di versare altro vermouth nel bicchiere, inclinando sempre di più la bottiglia fino quasi a metterla in verticale, col vino che non ne vuole sapere di uscire, finchè mi accorgo di non aver tolto il tappo. Ci addormentiamo di lì a poco, dopo esserci raccontati vecchie storie di liceo e di vita vissuta, tutte ricordate con grande nostalgia e un velo di tristezza, ma che ancora oggi ci fanno sorridere come allora. Davide si addormenta dopo di me, con la pancia all'aria esposta al freddo, svegliandosi solo verso le quattro causa una vescica tesissima. Si renderà conto solo allora di aver lasciato tutte le luci accese. Io non mi accorgo di nulla dormendo come un sasso fino alla mattina successiva.

Helsinki

Un po’ rimbambiti e assonnati, con la schiena indolenzita dai morbidissimi letti d'albergo tanto invitanti quanto dannosi per la colonna vertebrale, ritardiamo la colazione per riprenderci un po’ dagli effetti dell’alcol. Approfittiamo comunque di quanto ci viene offerto dal generoso buffet, logicamente molto più ricco di quello seppur abbondante nell'ultimo ostello a Kuopio: ci sono perfino le uova e il bacon per qualche eventuale inglese in vacanza, cibarie che ovviamente noi stiamo male solo a guardare. Ci accontentiamo di qualche croissant con caffelatte, per poi ripartire alla volta di Helsinki, oggi sarà un'altra dura giornata di turismo culturale. La prima attrazione del giorno è il museo di arte moderna, che a me non ha mai interessato molto ma non possiamo escludere dalla lista: ad Helsinki i posti da visitare non sono poi moltissimi. Dentro non c'è granchè: i soliti panni sporchi stesi e venduti come opere d'arte, forme bizzarre o quadri monocromatici, lattine di colore tremendamente arrugginite ed ammassate tutte assieme a simboleggiare il lavoro dell'artista. La classica frase che viene da pensare quando si assiste a tali opere è "Ma queste potrei farle anch'io, anzi meglio di loro!", e nonostante quello che dicano gli esperti in materia sui significati nascosti che celano, sono convinto che sia la pura e semplice verità. Ma questa è solo una mia considerazione personale: certe opere sono anche affascinanti, a volte inquietanti. Una su tutte il video di un gruppo di bambini, probabilmente in qualche zona dell'Est europeo devastata dalla guerra, che prendono letteralmente a mazzate una vecchia automobile, trasformata in giocattolo da sfascio in mezzo alla strada. I genitori assistono a metà tra il divertito e l'indifferente, fino all'arrivo della polizia che mette fine al "gioco". Non so se il video sia autentico o costruito ad arte, ma nel caso fosse vero sarebbe veramente disturbante, simbolo di violenza e degrado a livelli preoccupanti.

Decisamente più ricco ed interessante il secondo museo, dedicato alla storia di Helsinki e della Finlandia in generale, dalla preistoria fino ai giorni nostri: dai chopper scheggiati dell'età della pietra, alle sfavillanti cotte di maglia medioevali, fino alle coloratissime e ormai dismesse markke finlandesi, la valuta abbandonata da qualche anno in favore dell'euro e ormai esposta in museo come una rarità. Terminata la lunghissima visita, optiamo per qualcosa di più classico: un giretto di piacere al mercato del pesce, vero cuore di Helsinki, affacciata direttamente sul Golfo di Finlandia. Si tratta del centro nevralgico della città: nelle vicinanze si trovano quasi tutti gli attracchi per i battelli che visitano le isolette circostanti, molto numerose e ricche di interessanti attrazioni turistiche. Una pista ciclabile l’attraversa completamente, nelle intersezioni ci sono i soliti semaforini e addirittura vediamo un comico cartello di pericolo recante due bici che si stanno per scontrare, invitando i ciclisti a rallentare nel punto di intersezione tra le due corsie: quando mai in Italia troviamo segnalazioni e semafori costruiti apposta per i ciclisti, costretti il più delle volte a improbabili percorsi sui cigli della strada mentre le auto rischiano costantemente di travolgerli? Nelle bancarelle si vende ogni tipo di cibaria e souvenir, tra cui gli ottimi kalakukko: li compriamo senza sapere che sono un piatto tipico finlandese. Lo scopriamo poco dopo: si tratta di squisiti panini di segale imbottiti di salmone e verdure miste, da servire caldi o freddi a seconda dei gusti del consumatore, e che ci sbafiamo con enorme soddisfazione dal primo all'ultimo boccone, sotto le tende arancioni che ci riparano anche dal sole veramente noioso. Dopo numerosi pranzi e cene in ristoranti indegni di questo nome che servono cibo spazzatura, veloce ed a buon mercato quanto si vuole, ma decisamente poco sani, questo è un piacevole diversivo: con lo stomaco non troppo pieno date le piccole dimensioni dei panini, ma pienamente soddisfatti, ci prepariamo per la visita alla storica isola di Suomenlinna, a pochi minuti di traghetto da dove ci troviamo: un arcipelago di sei isole, anch'essa protetta dall'Unesco ed inserita nei Patrimoni dell'umanità.
Nella zona sono presenti molte attrazioni come la fortezza e il sottomarino della seconda guerra mondiale, ora trasformato in attrazione turistica. Al nostro arrivo l'isola non è invasa da turisti, c'è un vento freddo e un'aria di pioggia che si sta preparando a cadere. Camminando lungo le strade ghiaiose e ciottolate circondate da mura, sbuchiamo in un campo da calcio vuoto con tanto di pallone dove ci divertiamo a suon di tiri liberi, ma dopo poco ci stanchiamo ed iniziamo la visita vera e propria. A poca distanza infatti c'è il museo principale dell'isolotto, dedicato alla fortezza. Una volta scoperto però che pagando una cospicua cifra per entrare avremmo solo visto un video che illustra tutta la storia dell'isola, optiamo per visitarla di nostra iniziativa. Lungo le stradine ciottolate si respira l'atmosfera delle guerre del Settecento, quando la Svezia, onde evitare di subire l'ondata dell'espansionismo russo, mise in mezzo la Finlandia a fare da tappo, fortificando pesantemente l'isola. I bastioni sono ormai ricoperti in gran parte d’erba, che la ripara quasi completamente dagli sguardi provenienti dal cielo, rendendo la fortezza quasi indistinguibile dalla vegetazione. In centro svetta fiera ed altissima la bandiera finlandese, come a simboleggiare l’eterna indipendenza rivendicata da questo piccolo e coraggioso Stato.

Il sottomarino

L'attrazione più interessante che vediamo a Suomenlinna è però il vecchio sottomarino, l'unico rimasto della flotta finlandese dai tempi della guerra. Esternamente è verniciato di rosso e bianco, un po’ sbiadito dai suoi anni di servizio sott’acqua. E’ completamente emerso ed incastrato in modo apparentemente precario su degli scogli costieri, che reggono in pochi punti quasi tutto il suo peso. Con due euro ci guadagniamo una visita in questo minuscolo ambiente vitale che ai tempi scendeva chilometri sott’acqua, tra la paura dei marinai che potevano da un momento all’altro vedere quell’angusto barattolo di lamiera riempirsi d’acqua e fiamme dopo una silurata. L’interno è stupefacente: la poca luce artificiale non permette di vedere nel dettaglio tutti i particolari, ma ciò che si vede è già sufficiente per capire di trovarsi in un miracolo di ingegneria. Ogni centimetro quadrato di parete è percorso da tubi di acciaio ognuno col relativo manometro per la pressione, si intersecano tutti in un labirinto intricatissimo. Il passaggio centrale è strettissimo e si fa fatica a passarci, nonostante siamo praticamente gli unici visitatori del momento. Un’estremità ospita i vecchi siluri, finalmente inoffensivi. I marinai non potevano vedere i siluri nemici che puntavano spediti contro il proprio sottomarino: potevano solo sentirne i boati, sperando di essere stati mancati. In caso contrario, sarebbero stati guai grossi: non riesco ad immaginare la forza di volontà e lo spirito di adattamento che dovevano possedere questi uomini, per non impazzire sott’acqua. Le cuccette dei marinai, ormai senza materassi né coperte, sono anch’esse terribilmente anguste: non v’è nemmeno lo spazio per girarsi, dovevano essere di una scomodità unica. Ringrazio chi di dovere di non essere nato in quegli anni di insensata e sanguinosa guerra.
Doppio arcobaleno

Usciti con molta difficoltà dal portellone posteriore, ci troviamo sotto una pioggia intermittente ed estremamente fastidiosa, peggiorata dal vento che la fa scorrere praticamente di lato. Il battello senza tetto ci riporta indietro verso la terraferma, mentre fortunatamente spunta un accenno di sole. Vediamo durante la traversata alcune isolette di pochissimi metri quadrati con una sola casetta al centro, tutte munite del proprio personale attracco per le barche. Ci fanno sorridere: chi mai vivrà in quel fazzoletto di terra in mezzo al mare, che sembra quasi una di quelle isole microscopiche con l'unica palma da cocco centrale tipicamente associate ai naufraghi da messaggio in bottiglia? Mentre ci immaginiamo le possibili risposte, attracchiamo e ricominciamo i nostri giri, da viaggiatori instancabili (o quasi) quali siamo, trovandoci di fronte ad un fenomeno eccezionale: un doppio arcobaleno sullo sfondo della chiesa ortodossa, il primo prepotentemente visibile, il secondo tenue ed appena accennato, entrambi che formano un arco sopra le bellissime guglie d'oro. Piove con il sole che splende, è un momento davvero particolare che ancora una volta mi fa sentire fiero di essere lì. Approfittiamo della schiarita che comincia a diventare definitiva per riposarci un po’ seduti di fronte al porto: osserviamo attentamente le navi attraccate con i ristoranti all'aperto sui ponti, le grosse gomene tutte avvolte attorno alle bitte per evitare che i battelli scappino via sospinti dalla continua brezza, e in lontananza le enormi navi da crociera, mosse dalle loro centinaia di resistenti motori diesel che le sospingeranno lungo i mari per giorni interi. Recuperate sufficientemente le forze dopo la stancante giornata, ripassiamo nella piazza del Senato per raggiungere la stazione centrale, intercettando un'esibizione di canto con centinaia di persone in piedi sulle scale ognuna col suo leggìo. Dopo averle ascoltate per un po’, insieme a tutti i turisti che affollano la piazza e si sono fermati come noi per assistere allo spettacolo, riprendiamo la via dell'albergo, dove troviamo un'altra sorpresa: i nostri vestiti, lasciati stropicciati e ammassati irregolarmente sui letti anch'essi sfatti, sono ora perfettamente stirati e piegati, sui letti di nuovo perfettamente lindi e senza nemmeno una piega. Un servizio decisamente diverso a quello a cui siamo abituati da qualche settimana, e che rischia di viziarci un po’ troppo! Un bel bagno nella spaziosa vasca per eliminare tutta la sporcizia e la stanchezza residua, e poi subito tra le braccia di Morfeo, preparandosi all'ultimo giorno da passare nella capitale.

Lo zoo

Questa volta la sveglia suona un po’ più tardi, non avendo scadenze precise da rispettare la mattina, così possiamo dormire un po’ più del solito. I dolori al rachide dovuti all'eccessiva morbidezza dei materassi sono ancora presenti, ma attenuati rispetto alla scorsa mattina, ci stiamo già abituando. Liberi stavolta da qualsiasi effetto collaterale di bevande alcoliche, possiamo finalmente permetterci una pantagruelica colazione, in cui torniamo a riempire il piatto più e più volte di qualsiasi cibaria presente sui tavoli, incuranti degli effetti di riflesso che probabilmente comporteranno sul nostro intestino. Il caffè viene erogato dalle macchinette in quantità esagerata per come siamo abituati: l'equivalente di una moka da tre qui vale per una persona sola come prima colazione, per cui sono costretto a buttarne via gran parte per poterlo diluire: non è possibile farsene dare di meno dalle macchinette tarate apposta per elargire quelle quantità e non di meno. La cameriera si stupisce del mio gesto, non riesce a credere che si possa buttare via del caffè, ma mi lascia fare senza obiettare. Una volta pieni da scoppiare come delle enormi larve superalimentate, da far fatica ad alzarsi dalla sedia, barcolliamo lentamente verso la camera per recuperare tutto il necessario per la giornata. Questa mattinata la passeremo allo zoo su un'altra isoletta vicina a Suomenlinna. Un legnoso battello percorre in poco più di un quarto d'ora il tratto di mare che ci separa dagli animali. Il controllore vende i biglietti direttamente sul traghetto, di vario colore a seconda della fascia di età, comprendenti traversata e ingresso. Un timido scoiattolo che corre qua e là velocissimo in preda all'agitazione, scomparendo infine in cima ad un albero, ci dà il benvenuto sulla stradina che conduce alle gabbie dei grandi felini. Il leone è in siesta pomeridiana, così come la tigre, che a malapena apre gli occhi sentendoci arrivare, ancora pesantemente assonnata. I ghepardi sono un po’ più attivi ma si muovono in modo artefatto, ripetendo gli stessi movimenti ossessivamente, probabilmente molto sofferenti per la loro condizione di prigionia. Un simpatico gatto selvatico sta dormendo appollaiato in cima ad un albero, con l'espressione beata che hanno tutti i gatti durante il sonno. Ce n'è per tutti i gusti: le alci con le loro ramificate corna, i cammelli dal morso e dallo sputo facile, le povere gazzelle costrette in poche decine di metri quadri di spazio, dove non possono certamente correre con tutta la velocità di cui sono capaci nella savana. I canguri con le loro zampette anteriori così corte che usano solo per raccogliere il cibo, e la loro buffa andatura saltellante così caratteristica. Gli emù, grossi uccelli molto simili agli struzzi ma dal piumaggio molto più scuro, che ci guardano con un'espressione bellicosa, decisamente ostile. I vanitosi pavoni, in stato di sorprendente semilibertà, che davanti a noi non si sprecano a fare la loro ruota, riservata unicamente ad impressionare gli esemplari femminili. Gli scortesi lama, notoriamente di carattere difficile, che scappano non appena ci vedono arrivare. Gli enormi bisonti, dal peso che può raggiungere la tonnellata, intenti a masticare tranquillamente la loro paglia, con quella parte anteriore così enorme in confronto a quella posteriore, e le possenti corna che ucciderebbero qualsiasi essere umano osasse sfidarli. Particolarmente divertente il branco di babbuini dal sedere rosso e prominente, estremamente agili nell'arrampicarsi su qualsiasi appiglio trovino. Il loro urlo è lancinante e stridente, a volte iniziano tutti insieme a gridare senza alcun apparente motivo. Uno di loro si porta dietro un pezzo di legno per minuti e minuti credendo di aver trovato un tesoro, per poi lanciarlo a terra spezzandolo. Rimaniamo a guardarli per diverso tempo, specie quando la porticina metallica si apre e gli permette di entrare nella giungla artificiale, dove amano darsi la caccia gridando come ossessi e rotolando sulle reti appositamente studiate per le loro acrobazie. All'interno, in gabbie di vetro, troviamo gli animali amazzonici ed africani: gli orribili scarabei ammassati a centinaia, grossi come una noce se non di più, che farebbero scappare terrorizzato anche il più coraggioso degli esploratori. I serpenti boa, in grado di stritolare un uomo in pochi secondi, ma fortunatamente inoffensivi e anche piuttosto pigri dietro i vetri. Poi una serie innumerevole di animali marini, ragni, crostacei ed echinodermi, purtroppo non c'è più tempo e dobbiamo scappare a prendere il traghetto per il ritorno.

La nave

Dei fotografi che ci mostrano tutti e trentadue i loro denti in un sorriso radioso ci invitano a farci fotografare poco prima di salire, è impossibile rifiutare dato che hanno messo le macchine fotografiche in posizione strategica; probabilmente tutto ciò serve ad avere un qualcosa di identificativo nel caso qualcuno si perda o abbia dei problemi di qualche genere. Due pagliacci vestiti nei modi più strani ci accolgono salutandoci calorosamente, e finalmente riusciamo ad accedere al settimo piano, quello dell'imbarco. Subito ci guardiamo intorno increduli di ciò che vediamo da ogni lato: centri commerciali mastodontici, l'insegna di un casinò in fondo al corridoio, degli ascensori con la parete trasparente in cui vediamo le persone salire e scendere da ogni dove, uomini sui trampoli a far divertire i bambini. Per la gioia degli amanti del gioco d’azzardo, c’è una quantità smisurata di videopoker e macchinette ripiene di monetine in bilico sul bordo magnetizzato e protetto dall' Intelligent Crash, che cadranno solamente quando verranno spinte da sufficienti altre monete inserite una dopo l'altra da chi pensa di essere abbastanza abile e fortunato. Un ottimo modo per perdere i propri soldi! Mentre camminiamo, un mimo vestito di bianco e nero luccicante e con la faccia pittata degli stessi colori intercetta la camminata di Davide, piazzandosi dietro di lui e seguendo ogni suo movimento, in modo insistente e piuttosto irritante. Il nostro eroe per un po’ fa finta di niente sperando che il buffo personaggio molli la presa, ma non sembra proprio che se ne voglia andare…così riesce a liberarsene simulando un impatto contro una ringhiera e piegandosi in due, da cui il mimo per seguire quella posizione avrebbe creato situazioni imbarazzanti! Congratulandosi per la trovata, il pagliaccio finalmente lo lascia in pace e va ad importunare qualcun altro. La nostra cabina è al quinto piano, il più basso a cui si trovino le cuccette: si trova in fondo ad un dedalo inestricabile di corridoi tutti uguali in cui si rischia seriamente di perdersi, ma almeno le indicazioni sono chiare, e la troviamo velocemente. E' un buco senza finestre, con due letti a castello e pochissimo spazio vitale, ma ci accontentiamo volentieri. Sempre meglio che dover dormire sul ponte come avremmo dovuto fare se avessimo scelto l'altra compagnia, tralaltro pagando il viaggio senza cabina addirittura di più.

Un australiano dai spiccati lineamenti orientali entra con noi, rivelando di essere il nostro compagno di stanza: è molto discreto e non dà mai fastidio, così come noi non ne diamo a lui. Non vogliamo rimanere troppo a lungo in quel container claustrofobico, la nave è troppo grande e piena di sorprese per non essere esplorata da cima a fondo. Il panorama che si ammira dal dodicesimo e ultimo piano, ovvero il ponte protetto quasi ovunque da ringhiere ricurve che impediscono agli aspiranti suicidi di buttarsi di sotto, è eccezionale: vediamo buona parte delle insignificanti isole che riempiono la baia di Helsinki, incluse quelle a casa singola, davvero buffe. Il settimo piano invece è dotato di ogni comodità e negozio possibile e immaginabile: c’è perfino un negozio "tax free" in cui non si paga l'IVA sui prodotti, istituito apposta per i turisti. Lì si possono comprare merci a metà prezzo o anche meno, come le bottiglie di vodka pura da due litri fatte pagare come quelle da 70 centilitri che vediamo nei nostri supermercati. I pacchetti di caramelle sono come minimo da mezzo chilo l'uno, sempre a prezzi stracciati. Cediamo al peccato di gola comprando una confezione di dieci barrette al cioccolato al caramello, ad un prezzo mai visto prima. Il massimo dell’esagerazione si raggiunge con i chupa chups da 180 grammi, praticamente delle clave. Ma non è certo finita qui: nella nave ci sono uffici di cambio soldi, negozi di vestiti d'alta moda, ristoranti costosissimi. Notiamo anche una bacheca sulla quale sono appese tutte le foto che ci sono state fatte alla partenza: troviamo anche le nostre! Le preleviamo subito senza informarci se fossero a pagamento o meno, vedendo che così fan tutti. Il piatto forte però arriva soltanto alla sera: non possiamo certo perderci una serata al casinò che campeggia in bella vista in fondo al corridoio con la sua grossa insegna luccicante.

Gioco d’azzardo

Il notevole fascino del gioco d’azzardo fa sì che sia molto difficile smettere di giocare una volta iniziato: di venti centesimi in venti centesimi, alla coloratissima macchinetta del videopoker, ci promettiamo ogni volta un tetto massimo di spesa oltre il quale non andare. Tale tetto viene però ridefinito continuamente, schiacciato dall'eccitazione e dalla voglia di rischiare di più. Ci rendiamo conto di quanto sia pericoloso lasciarsi tentare da questo tipo di giochi, se già con pochi centesimi di euro è difficile darsi un freno. Avendo conosciuto personalmente gente che si è rovinata col gioco d'azzardo, l'effetto che mi fa è ancora più forte. Dall'altra parte della sala, due croupier stanno decidendo le sorti di accaniti giocatori, soprattutto giapponesi, al black jack e alla roulette. Le loro dita sciolte manipolano abilmente le carte distribuite una alla volta e lentamente scoperte sotto gli occhi ansiosi di chi ha puntato. I soldi giocati sono appena stati fatti sparire, talvolta per sempre, inghiottiti in apposite buche nel tavolo verde. La pallina lanciata senza sbavature in direzione contraria al senso di rotazione della roulette decreterà presto se i portafogli dei giocatori si alleggeriranno o appesantiranno a fine serata, in un tiro della sorte completamente imprevedibile e per questo estremamente tentatore. Banconote da dieci, venti, cinquanta euro passano continuamente sotto il nostro naso fin nelle mani dei croupier, dall'espressione di ghiaccio completamente indifferente a tutto quel movimento di soldi e a quella febbre del gioco. È affascinante guardare queste scene di tensione silente, esplosa talvolta in contenuti gesti di stizza e di rammarico per le centinaia di euro appena buttate via, talvolta in gioiosi abbracci per le cospicue vincite ottenute. Nessuno purtroppo sta giocando al poker con le vere carte, a cui avremmo assistito molto volentieri, da cui torniamo ad aggirarci nei dintorni delle macchinette in cerca d’avventura. Un videopoker vuoto da qualche minuto attira la nostra attenzione: ha un bottone rosso lucente, che normalmente è spento. Schiacciamo quello che è il pulsante di recupero ora illuminato, solo per curiosità, e magicamente scendono cinque monete da un euro. Ci guardiamo increduli: com'è possibile che le abbiano lasciate lì? Le prendiamo mettendole in tasca senza dare nell'occhio e passiamo alla macchinetta successiva, anche lei col pulsante di ritorno del credito stranamente illuminato: altri tre euro guadagnati senza sforzo. Da quel momento in poi non facciamo altro che aggirarci come avvoltoi tra le slot machine, cercando qualche monetina dimenticata da poter puntare. Approfittiamo di quell'insperata vincita per giocarcene una parte, stabilendo però un tetto massimo invalicabile da non superare per nessun motivo, stavolta rispettato. A volte puntando venti centesimi, altre volte quaranta, si perdono un po’ di soldi e poi se ne riguadagnano il triplo, per poi perderne il quadruplo. Un andatura altalenante che ogni volta che sembra stia per finire in realtà ricomincia in modo del tutto inaspettato, vincendo cinque volte tanto dopo che l'ultima monetina utile è stata puntata. Come era prevedibile, in finale perdiamo tutto quello che abbiamo deciso di puntare, ma riusciamo ancora a recuperare altri due o tre euro, lasciati direttamente nel piatto metallico sotto le macchine da qualche distratto utente che si è dimenticato di riprendersi i suoi spiccioli.

La mezzanotte è passata da un po’, e si vedono le prime scene di palese ubriachezza: un finlandese piuttosto pingue, con i capelli biondi a spazzola, sta dormendo beatamente a sghimbescio sulla sua sedia. Il suo bicchiere di Bailey's è ancora pieno fino all'orlo, e il suo compagno sta tentando inutilmente di svegliarlo battendo sempre più forte col bicchiere sul tavolo, senza però darsi troppa pena per il fallimento della missione. Il ragazzone viene poi svegliato in qualche modo da altri finlandesi che scuotendolo e incitandolo riescono perlomeno a farlo rimettere seduto dritto, ma non vorrei essere tra quelli che poi tenteranno di farlo alzare. Altri individui poco raccomandabili cominciano ad aggirarsi nei dintorni, da cui vista anche l'ora tarda decidiamo di uscire dal casinò e tornarcene in cuccetta. All'entrata dei nostri corridoi vediamo un altro finlandese collassato sul fondo delle scale, completamente ubriaco, poi un altro in piedi con la faccia rossa come un peperone e l'espressione stranita che ci fissa dall'imboccatura del nostro corridoio. Prudentemente deviamo per la strada più lunga, per evitare di passargli davanti. Riusciamo a raggiungere la nostra camera senza essere aggrediti da ubriachi vaganti, la banda magnetica fa un po’ di bizze prima di consentirci di entrare, ma alla fine pulendola bene con i fazzoletti la tessera fa il suo dovere e siamo finalmente al sicuro.

Stoccolma

E' impossibile capire che ore sono, se non si esce da quella cabina o non si ha un orologio: la totale assenza di finestre è un po’ fuorviante, potrebbero tranquillamente essere le quattro di mattina come le due di pomeriggio col sole altissimo nel cielo, e non ce ne accorgeremmo ugualmente. In piena notte mi sveglio sentendo degli strani rumori: tendo l’orecchio per capire cosa siano quegli scricchiolii e quei suoni di paratie che paiono aprirsi e chiudersi. La nave sembra essersi fermata: scopro ora che a metà notte la nave effettua questo scalo alle isole Åland, poste a metà tra Helsinki e Stoccolma. Guardo l’orologio: sono più o meno le tre. Mi riaddormento subito dopo, senza più preoccuparmi dei rumori della nave. Alle otto ci svegliamo tutti e due con la sveglia che suona insistentemente, e presto ci leviamo dalle piccole ma comode brande per fare una veloce colazione prima di scendere dalla nave, che di lì a poco sarà a destinazione. Una volta mandato giù qualche biscotto e due sorsi di succo, la nostra abituale ed ormai odiosa colazione, facciamo un'altra veloce ispezione nella zona del casinò, sperando che sia ancora aperto per raccogliere i frutti di un'intera notte di gente che ha lasciato monetine nei videopoker. Come immaginato, è tutto chiuso. Nelle macchinette sul largo corridoio centrale però rinveniamo ancora qualche centesimo, subito giocato e logicamente subito perso, prima di veder campeggiare la scritta "Fuori servizio", annunciata da un rumore tremendo della macchinetta stessa. Probabilmente si sono dimenticati di spegnerla la sera prima, dato che è l’unica funzionante. Soddisfatti di quest'ultimo raid mattutino, recuperiamo tutti i bagagli e ci apprestiamo a seguire la marea di gente che si sta ammassando alle uscite, tutti in attesa di visitare questa città così famosa e lungamente descritta come una splendida capitale nordica. L’australiano nostro compagno di stanza ci saluta augurandoci buona fortuna, ricambiamo e lo vediamo sparire lungo una rampa di scale.

Prima che possiamo rendercene conto la nave ha già attraccato al porto di Stoccolma: siamo tornati in Svezia. Ripercorriamo i corridoi sospesi velocemente per raggiungere la nostra metrò, la famosa Tunnelsbana. Molto decorata e ricca di vetrine con esposizioni artistiche, un misto tra una metropolitana e un museo! Il tunnel però non ci esalta, in quanto l'arrivo è piuttosto caotico e stressante: la città e in particolare la metrò sono affollatissime, fa abbastanza caldo e intercettiamo continuamente passeggini che ci sbarrano la strada e ci rallentano pesantemente incastrandosi dappertutto, specialmente ai girellini della metropolitana. Chiedendoci come sia possibile che tutta questa gente abbia così tanti figli piccoli e se li porti sempre in giro, prendiamo il primo treno diretto alla zona del centro storico, famosa per la sua densità di edifici antichi e dall'indiscutibile fascino. L'isoletta di Gamla Stan, il vero nucleo centrale della città risalente al Medioevo, è colma di edifici sontuosi come la chiesa mortuaria di Riddarholmen, la cui svettante ed appuntita guglia di ferro tocca la ragguardevole altezza di novanta metri. Lastricata internamente di pietre tombali che ospitano i resti di tutti i re svedesi fino all'epoca contemporanea e con stampigliati sulle pareti tutti gli stemmi e trofei dei cavalieri dell'ordine dei Serafini, dà proprio l'idea di un luogo di eterno riposo. Poi viene la monolitica Residenza Reale, l'edificio più importante e rappresentativo di Stoccolma. È la vecchia abitazione dei re, che però vediamo solo dall'esterno, giallognola e squadrata. La città ha alle spalle una grande storia, e questo quartiere ne è la dimostrazione. Una carrozza trainata da cavalli che sta passando proprio in quel momento in mezzo alla piazza contribuisce ad aumentare l'aria di medioevo che aleggia densa attorno a noi.

Ammirati da questo quartiere così particolare, proseguiamo la nostra visita verso il gigantesco municipio, con un'alta torre che domina il mare appena adiacente. Riusciamo a salire in cima dopo un'ora intera di coda, estenuante la lentezza con cui si susseguono i turisti: si può entrare solo in pochissimi alla volta. Il panorama dalla cima comprende tutta la città, ben visibile in tutta la sua grandezza di maggiore capitale nordica, nonostante il tempo non sia esattamente soleggiato. Ci aspetta poi la visita all’enorme Palazzo Reale, dove dei soldati vestiti di verdognolo con gli stivali bianchi stanno pronunciando ordini in lingua incomprensibile, comandando il cambio della guardia e marciando a passo sicuro mentre nutrite schiere di turisti osservano curiose. L'ingresso dei quattro musei lì ospitati è presieduto da una guardia solitaria, armata di fucile a baionetta, che ha l’ordine di non muoversi nè parlare. Nonostante ciò un turista sta intavolando con lui una specie di conversazione, nella quale però le proporzioni sono fortemente sbilanciate: la guardia si limita a rispondere con qualche parola seccata, trasgredendo agli ordini per la disperazione, mentre il curioso e logorroico importuno non accenna proprio a smettere di fare domande. Deve essere già particolarmente noioso stare ore e ore in piedi senza potersi muovere, in balia di qualsiasi condizione atmosferica e senza nemmeno poter andare al bagno, se poi si aggiungono anche le seccature dovute ai turisti, è il colmo. L'interno del palazzo è magnifico: le stanze sono enormi, spaziose, riccamente decorate con ogni genere di affresco e statue bronzee incastonate negli spigoli delle pareti che sembrano tenersi alle due travi d’angolo. Ve ne sono quattro, a formare un cerchio che abbraccia tutta la stanza. Tanta ricchezza è impressionante, tutto questo sfavillare d'oro quasi abbaglia la vista.
Nei sotterranei possiamo ammirare delle corone e spade tempestate di diamanti e pietre preziose in ogni centimetro quadrato, oggetti straordinari dall'altissimo pregio, che osserviamo senza pronunciare parola. Finita la visita ai ricchissimi musei, è tempo di visitare altri gioielli, come la cattedrale di Storkyrkan. I suoi colonnati sono in mattone rosso a strisce biancastre che sorreggono le tre lunghe navate, mentre spicca il maestoso altare argentato con la consueta e splendida vetrata colorata circolare sulla cima. Perla finale è la complessa e finemente rifinita statua rappresentante la lotta tra San Giorgio e il drago, terminatasi con la sconfitta di quest'ultimo secondo la leggenda raccontata dai tempi delle Crociate, simbolo dell'eterna lotta tra bene e male. Finisce qui la prima parte della scorpacciata di storia e cultura locale che troviamo in questa affascinante città, per occuparci di cose più banali, come cercare un posto dove poter mettere qualcosa sotto i denti senza essere sorpresi dalla pioggia che continua ad andare e venire, senza mai lasciare il cielo sgombro. A complicare le cose ci si mette anche il vento freddo che spira dal mare, portando più nuvole invece di spazzar via quelle presenti. L'unico posto tranquillo e riparato che ci viene in mente per mangiare in santa pace è la stazione centrale dei treni, non avendo ancora un ostello disponibile. Dovremo raggiungere il primo alloggio alla sera, cambiando un treno e un bus, in una zona molto fuori Stoccolma. Tutto sperando che il codice elettronico comunicatoci per telefono dal gestore, causa chiusura della reception nel weekend, sia funzionante e ci permetta davvero di entrare. Accantonata temporaneamente la preoccupazione e riempito lo stomaco, ripartiamo per una visita nelle vie del centro, in particolare nel lunghissimo viale dei negozi, dove se ne vedono davvero di ogni: prima tappa è il negozio di articoli rock che subito puntiamo e setacciamo da cima a fondo con estremo interesse, per trovare qualcosa che soddisfi la nostra più o meno forte “fede” metallica. Poi tocca ai negozi di souvenir dove prendere le presine ricordo per la madre rimasta a casa, fino ai negozi di vestiti ordinari e ai ristoranti tipici italiani, da noi pesantemente snobbati visti i loro prezzi astronomici. Non vogliamo certo spendere chissà quanti soldi per mangiare una banale pizza che solo pochi giorni dopo avremmo potuto gustare di nuovo a metà prezzo in terra d'origine. Per quanto riguarda il vestire, i pantaloni che abbiamo indosso ormai da venti giorni sono più che sufficienti.

Le strette viuzze centrali, con qualche guglia che spunta all'improvviso altissima da dietro un caseggiato che fino a poco prima ne ha nascosto la vista, sono un piacere da percorrere, nonostante la stanchezza delle gambe. Ci concediamo un altro momento di riposo sui gradini di una statua nella piazza adiacente al golfo, dove dall'altro lato è ormeggiato l'Af Chapman, il vecchio vascello a vela ormai trasformato in ostello. Non sarà il nostro: avremmo dovuto prenotare come minimo due settimane prima per trovare posto! Proseguendo troviamo un concerto rock in atto con una band che sta suonando presumibilmente dei pezzi propri, dato che non conosco nessuna delle canzoni che stanno suonando, e questo genere musicale lo mastico abbastanza bene. Sono bravi, ma la gente è troppa e non c’è un posto dove poter stare tranquilli, al che ci spostiamo in un’altra zona. A poche centinaia di metri scopriamo che c’è l’Opera all’aperto, sotto un tendone, con l’orchestra che intona il “Và pensiero”: perfino in Svezia sentiamo cantare italiano! Il direttore d’orchestra si affanna con la sua bacchetta, piegandosi e facendola volteggiare qua e là senza sosta mentre i musicisti, visibilmente concentratissimi, eseguono i loro pezzi in modo magistrale. Applausi scroscianti.

Tumba

Finita l’aria, proviamo a buttarci in un’altra strada, decisamente affollata: un concerto di dimensioni enormemente più grandi si sta preparando, non sappiamo chi dovrà suonare ma dall’aspetto dei milioni di ragazzini che si sono riversati in strada possiamo capire che sarà qualche plastificato idolo del pop o qualcosa di simile, che non ci attira per niente. Spintonando e sbuffando riusciamo a liberarci dalla calca nella quale imprudentemente ci siamo addentrati, e una volta faticosamente liberi constatiamo che è tardi e ormai i musei sono tutti chiusi. Si sta facendo sera, siamo stanchi e dobbiamo pensare a come raggiungere i nostri giacigli per la notte: meglio muoversi, dovendo fare non poca strada. Alla stazione centrale non viene accettato il biglietto interrail per la tratta fino a Tumba, dove si trova il nostro alloggio, presumibilmente perchè non lo conoscono o perchè non hanno ancora aderito all'iniziativa. Ci sembra strano e vorremmo protestare ma non abbiamo molta scelta, dobbiamo fare i biglietti velocemente perchè tra pochi minuti il treno partirà senza di noi. Sei euro per una tratta di venti minuti, quando potevano essere gratuiti, sono seccanti, ma lasciamo correre. Tumba è un altro paese un po’ come Luleå, sperduto nella campagna svedese, e del quale non conosciamo nulla, se non poche informazioni confuse dateci per telefono dagli ostellanti. Venti minuti di treno, col rosso tramonto visibile dai finestrini di sinistra. Purtroppo le costruzioni su ogni lato della ferrovia non ci permettono di apprezzarlo al meglio. Appena scesi possiamo subito vedere l'autobus numero 708 che sta facendo il giro della piazza per posizionarsi sul suo spazio, pronto a caricare i passeggeri: è uno di quelli che possiamo prendere per arrivare in zona ostello. Un'altra corsa forsennata, per arrivare giù mentre stanno salendo le ultime persone, per sentirci rispondere dal nero autista, per giunta in italiano: "Qui non si fanno biglietti". Scornati e maledicendo quell'autista così impietoso, anche se non è colpa sua se non possiamo salire subito, ritorniamo sul sovrappassaggio per cercare un punto che venda biglietti dei bus. Si comprano nello stesso punto da cui siamo passati uscendo: anche qui l'interrail non ha alcun effetto per ridurci le tariffe, e dobbiamo pagare l'esorbitante cifra di diciotto euro per un tragitto di pullman della durata sì e no di un quarto d'ora.
Decisamente arrabbiati per la fregatura presa, dato che con tutti quei soldi in più spesi avremmo potuto dormire in un albergo per giunta in pieno centro, scendiamo con passo svelto per aspettare l'autobus. Speriamo che come minimo quel biglietto valga anche per il ritorno, dato che è stampato su entrambi i lati. L'autista che arriva venti minuti dopo è molto più gentile e disponibile, timbra il biglietto in corrispondenza del secondo riquadro (su sedici totali, ma noi non abbiamo assolutamente chiesto un abbonamento!), e ci rassicura di essere sull'autobus giusto. La nostra fermata è in un posto che definire isolato è un eufemismo: dobbiamo scendere in una rientranza di un lunghissimo stradone dritto con alberi e campagne ad entrambi i lati, e pochissimo altro, se non fosse per un enorme cartello che segnala un ostello della gioventù sulla sinistra. Il simbolo della casetta e dell’abete è inequivocabile. L'autista ci dà addirittura indicazioni su come arrivare, ci profundiamo in ringraziamenti e ci mettiamo in cammino, ancora imprecando per la situazione in cui ci siamo andati a cacciare. Di nuovo ci viene il dubbio: e se per caso il codice, datoci sottoforma di indovinello calcistico dalla simpatica ragazza che aveva preso la nostra telefonata, non sia valido per entrare? Meglio non pensarci. Davide indovina subito il punto in cui tagliare a sinistra, e di lì a poco scopriamo che l'ostello è parte di un camping molto ben organizzato e composto da decine di edifici, tra cui ristoranti, parchi di divertimenti e chissà cos'altro che non possiamo vedere bene data l'ora tarda. Seguendo le indicazioni arriviamo ad una costruzione un po’ dismessa, ma tutto sommato di aspetto invitante, con la fatidica tastiera sullo stipite della porta per digitare il codice. Primo numero valido, secondo e terzo validi...quarto valido, la serratura lampeggia di verde e possiamo entrare. Appesa nell’anticamera notiamo subito una busta con scritto un sorprendente "Welcome!" seguito dal mio nome. Tale busta contiene le chiavi della camera e le istruzioni su come pagare, lasciando il mio numero di carta di credito, che verrà registrato e utilizzato lunedì quando riaprirà la reception. In quale altro Paese si fiderebbero a fare una cosa del genere? Chiunque potrebbe tranquillamente lasciare fin dall'inizio un numero di telefono falso, dormire abusivamente ed andarsene senza pagare! Ma evidentemente qui nessuno lo fa…

La camera è riservata per noi, ben riscaldata e pulita, il che ci ripaga in piccola parte della scarpinata e dell'esorbitante costo del biglietto che ancora non sappiamo se si duplichi per il ritorno. Ci incoraggia il pensiero che probabilmente non lo dovremo rifare, non esistendo quasi certamente nulla nelle vicinanze in cui si vendano biglietti. Una veloce ottimizzazione dei bagagli e del cibo per potersene andare quanto più velocemente possibile la mattina seguente, poi ci infiliamo sotto le coperte. Io da incosciente mi copro solo col lenzuolo trascurando il piumone, convinto che faccia già abbastanza caldo: grave errore di cui pagherò le conseguenze, svegliandomi l’indomani con un incipit di raffreddore.

La barca ostello

I terribili biscotti alla menta e cioccolato comprati il giorno prima volano ancora incartati tra i rifiuti dopo pochissimi morsi, sono immangiabili. Ce ne andiamo curandoci di non lasciare lì nulla, per nessuna ragione al mondo vogliamo tornare in quel posto. Gli autobus, come abbiamo avuto modo di vedere la sera prima, passano molto spesso anche la domenica, per cui non ci preoccupiamo troppo degli orari. Ad aspettare il bus, su quella fermata in mezzo al niente, siamo solo noi due, infastiditi da un vento forte e continuo, e dall'attesa che comincia a farsi lunga. Abbiamo pensato anche a come cavarcela nel caso in cui il nostro biglietto venisse rifiutato: avremmo prima di tutto fatto gli gnorri, fingendo di aver ricevuto informazioni sbagliate sulla sua validità, per poi tentare di impietosire l'autista, al massimo sfoderando l'improbabile arma segreta: il qui misconosciuto biglietto interrail. Per fortuna non è necessario niente di tutto ciò: l'autista timbra il quarto spazio, lasciando il terzo inspiegabilmente vuoto così come quello della scorsa sera ha lasciato vuoto il primo, e ci lascia salire senza dire una parola. In tutto, la bellezza ventotto euro solo per il trasporto. Un furto.
Ora è tempo del trasferimento bagagli al nuovo ostello, stavolta non lontanissimo dal centro della città: dopo una fermata di metrò arriviamo nella via in cui dovrebbe essere, ma il suo numero civico non esiste. Un'indicazione lo dà sulla destra, dove non c'è assolutamente nulla: si vede solo una vaga rimessa per auto con subito dopo l'entrata di un parcheggio coperto. Piove, fa freddo e ci stiamo irritando notevolmente per queste informazioni così fuorvianti. Dopo aver girato in lungo e in largo cercando questa fantomatica via, ed aver raggiunto il colmo della frustrazione, chiediamo aiuto ad un ragazzo che sta passando: dove diavolo è questo Red Boat House? Risposta: esattamente dalla parte opposta che pensiamo! Non abbiamo idea di che posto sia, dal nome possiamo intuire che abbia a che fare con le barche, e una volta raggiunto dopo pochi minuti di camminata scopriamo che è proprio una barca! Un vecchio battello da pesca abbastanza grazioso, con la cassaforte dei bagagli in legno appena davanti al ponte di collegamento, sulla quale cresce l'erba sul tetto come nel villaggio di Oslo. Non sarà l’Af Chapman, ma è comunque una nave, quindi una cosa nuova! Solo questo salva l’ostello dalla nomina di uno tra i peggiori visitati: apparentemente carino fuori, ma dentro decisamente disagevole. Le scale per scendere al piano inferiore, dove si trova la camera a noi assegnata, sono ripidissime, strette e pericolosamente scricchiolanti. C'è un unico orinatoio per tutta la nave, munito di lavandino, mentre l'altrettanto unica tazza, in un altro bugigattolo, ne è invece priva. Che senso ha non metterlo proprio dove ce n'è più bisogno? Sorvoliamo su questo dettaglio e parliamo delle docce, praticamente aperte, l'unica privacy è data dalla tenda che si può tirare, ma non esiste porta: di conseguenza, praticamente nessuno in quell'ostello fa la doccia, tantomeno noi. La camera è l'apoteosi: due letti a castello in uno spazio che definire claustrofobico è un complimento, chi dorme sopra non ha nemmeno una scaletta per arrampicarsi ma solo un vago gradino completamente liscio ed inclinato a 45° che risulta completamente inutile. Oltretutto, una volta arrivato in cima lo sventurato può a malapena girarsi nel letto: lo spazio tra materasso e soffitto è così ridotto che scendere diventa un problema, non potendo gettare il peso in avanti. Per non parlare di quando l’occupante tenta di sollevare il busto, può farlo al massimo per una ventina di centimetri prima di battere il capo sull'irregolare soffitto intonacato in modo a dir poco grezzo. Gli oblò sono microscopici, tenuti costantemente chiusi dalla coppia di francesi che alloggia con noi: così facendo viene completamente azzerato il ricircolo d'aria e peggiora notevolmente la situazione delle mie cavità nasali, che tra non molto presenteranno il loro conto da pagare.

I musei

Sistemati gli zainoni negli unici vani della piccolissima camera in cui riescono a passare, ce ne andiamo preparandoci ad una intensa (e mentalmente faticosa) giornata di visite culturali: abbiamo ben tre musei da visitare. Il National Museum, un altro di arte moderna e, dulcis in fundo, il famoso museo del vascello denominato Vasa Museum. Il primo è il più classico, dedicato a quadri ed oggetti di uso comune dal primo Novecento agli anni Settanta, incluse delle macchine da scrivere che mi fanno venire una gran voglia di usarle come facevo molti anni fa per stendere i miei primi timidi pensieri da bambino decenne. Notevoli anche gli splendidi orologi intarsiati con metalli preziosi di ogni forma e colore, una delizia per gli occhi. Il secondo museo è un insieme di arte astratta e bizzarra ma che lascia intravedere significati nascosti molto profondi, in particolare di un'opera che mi colpisce moltissimo: un insieme di centinaia di foto di persone comuni, prese dalla strada, appese sul muro a formare un collage. Sotto tutte queste fotografie, altrettanti fogli di carta con stampata la descrizione di ognuna: c'è la persona che ha appena perso l'aereo pagato profumatamente perchè le indicazioni del centro turistico erano sbagliate, l'ex alcolista affidato agli assistenti sociali che ogni mattina passano a recapitare la busta con il cibo senza suonare il campanello perchè hanno paura di lui, l'uomo a cui hanno appena tolto il rene sbagliato, la donna che ha appena perso il figlio in un incidente stradale, lo studente a cui è stata rifiutata la tesi preparata in due faticosi anni, la ragazza che ha scoperto solo dopo sposata di essere sterile, e così via per centinaia di pietose situazioni tutte apparentemente slegate tra loro, ma con un denominatore comune: l'impietosa varietà delle sofferenze che si possono provare e soprattutto l'incomunicabilità della condizione umana, dove ognuno è abbandonato a se stesso senza che il resto del mondo si curi di lui. Ognuno deve portarsi il suo fardello in silenzio senza poter contare sull'altrui comprensione, che non arriverà mai ad essere totale.

Il vascello

Il terzo ed ultimo museo contiene un'enorme vascello del diciassettesimo secolo ancora quasi completamente intatto, lungo almeno settanta metri. C’è da rimanere senza fiato ad osservare le sue statue di legno incastonate a poppa, le reti su cui i marinai si arrampicavano per arrivare in cima all'albero maestro a fare da vedette, i paurosi fori quadrati sulle fiancate da cui i marinai nemici si vedevano spuntare le bombarde, nel terrore più puro. Ci sono più di dieci piani su cui salire, da ognuno si vede la nave in un’ angolazione diversa e sempre più suggestiva, finchè dalla cima si può ammirare in tutta la sua stupenda grandezza. Come abbiano fatto a trasportare questo mostro e rinchiuderlo entro quattro mura, è un vero mistero. Ai lati ci sono tutte le rappresentazioni in miniatura della nave e delle sue stanze, rendono abbastanza bene l’idea ma preferiamo osservare la nave vera e propria. Non ci si può salire sopra per ovvi motivi, ma non è necessario: dall’altro lato si può vedere il ponte a brevissima distanza, e ancora una volta mi sembra di essere in una scena di Capitani Coraggiosi. Come il libro, anche questa splendida nave davanti ai miei occhi riesce a farmi sognare per qualche minuto.

Raffreddore

Le mie elucubrazioni mentali vengono interrotte quando sento un saporaccio in fondo alla gola che so bene essere il preludio di un raffreddore forte. Deve proprio scoppiare adesso, non può ritardare di qualche giorno, accidenti? La sera torniamo a rintanarci prima apposta, per evitare di ammalarmi troppo. Metto in atto appena arrivato in ostello le mie misure preventive sempre molto efficaci per ridurre la potenza del malanno incipiente o già conclamato: bere tantissima acqua per accelerare lo smaltimento delle tossine e stimolare la circolazione nelle zone infiammate, sopportando l'effetto fastidioso che ha sulla gola malata. In ogni caso è meglio evitare il più possibile gli antinfiammatori come l'aspirina, ricchi di effetti collaterali potenzialmente anche gravi, così come tutti i medicinali in generale, che è sempre meglio scansare fino a quando proprio non se ne può più fare a meno. La cura funziona: il naso inizia a colare un po’ meno e mi sento fiducioso di poter stare bene domani. In qualche modo, nonostante il naso chiuso e il continuo fastidio del soffiarselo, riesco a prendere sonno.

In un orario imprecisato attorno alle due di notte mi sveglio col naso stavolta completamente chiuso, da non riuscire più a respirare se non con la bocca, e questo fa crollare un po’ di miei propositi per il giorno che viene. Rimango un po’ seduto per cercare di riaprirmi le narici, con un discreto successo, finchè non riesco a riaddormentarmi. Alle sei mi sveglio di nuovo, questa volta definitivamente. Maledico il virus che mi ha ridotto in questo stato, e questa volta sto seduto più a lungo, per evitare che il muco scenda per gravità verso la gola. Mi accorgo del caldo soffocante che c'è nel nostro angusto ambiente: i due francesi hanno lasciato entrambi gli oblò chiusi, con le tendine tirate che lasciano passare pochissima luce, vorrei alzarmi per aprirli ma non voglio suscitare reazioni nel caso si svegliassero. Posso resistere, inoltre quel calduccio mi fa bene, se non altro il naso non mi cola. Mano a mano che sto seduto, ascoltando il rumore del respiro dei miei compagni di stanza e cercando di aprirmi il naso il più possibile, mi torna un po’ di sonno, ma non cedo alla tentazione di sdraiarmi di nuovo: se mi riaddormentassi, all'ora della sveglia alle otto avrei il naso completamente intasato e sarebbe una tortura andare in giro in quelle condizioni. Così rimango seduto e mi immergo nei miei pensieri, che nelle due ore che passano prima che Davide si svegli spaziano davvero dappertutto: mi rendo conto che nonostante tutte le difficoltà io sono ancora lì, piegandomi ma non spezzandomi. Mi sento strano, come sospeso in un'altro stato di coscienza, a metà tra il sognante e il malinconico, ma con un enorme fondo di felicità che mi pervade da capo a piedi nonostante le pietose condizioni del mio apparato respiratorio. La vacanza ormai sta finendo, oggi è il nostro ultimo vero giorno di interrail, è stato tutto splendido e denso di emozioni completamente nuove, ma tra poco sarà tempo di tornarsene a casa e riprendere la vita normale, con i suoi pro ed i suoi contro.
Perdendomi in questi pensieri il tempo passa molto velocemente: alle otto, come previsto, il mio compare si è svegliato, insultando vivacemente i vicini di letto per l’ambiente asfissiante da loro creato. Abbandoniamo la fornace di caldo e sudore il più velocemente possibile.

Heavy metal

La pioggerellina, lieve ma costante, non ci risparmia nemmeno oggi: le speranze di passare almeno l'ultimo giorno di visita con il sole crollano definitivamente, una volta usciti all’aria aperta e dato un occhio al cielo quasi interamente coperto da nuvoloni larghi e grigiastri. Dopo una veloce colazione sulle scale di pietra vicino alla strada, ci concediamo un rilassato un giro panoramico in una zona sopraelevata della città da cui si vedono benissimo spuntare tutti gli edifici storici. Poco distante si trova la chiesa di Santa Sofia: un grazioso luogo sacro con le panche disposte a semicerchio attorno all'altare, dove assorbiamo un po’ di benefico calore e approfittiamo per meditare ancora un po’ sulle nostre odierne sorti.

L’unica cosa che ci rimane da vedere di Stoccolma è il Globen, dall’altra parte della città. Si tratta di un’enorme costruzione sferica, bianca e reticolata, la più grande costruzione a forma di globo del mondo intero. Ospita molti negozi al suo interno (circa centocinquanta!), in un centro commerciale enorme che usiamo solo per mangiare i nostri panini al formaggio spalmabile, individuata per pura fortuna un’unica panchina libera. Nulla di più da vedere: tra tutti quei negozi non ce n’è nemmeno uno di articoli rock o di qualcosa che ci possa stuzzicare la fantasia, da cui ci rimane solamente da ripercorrere il vialone centrale, dove potremo comprarci qualcosa che ci ricorderà per sempre questo viaggio. La scelta cade sulle magliette che raffigurano le effigi delle nostre band metalliche preferite, simbolo di appartenenza ad una cultura musicale così spesso sottovalutata ma più vasta e nobile di quanto comunemente si creda. Una volta individuate quelle giuste, ignorando beatamente il prezzo leggermente elevato, finalmente ci togliamo anche quest’ultima soddisfazione. Curiosando un po’ nei vari negozi del viale troviamo in vendita veramente di tutto: è divertente confrontare i prezzi e pensare a quante stupidate siano in vendita per non pochi soldi, come le orribili statuette dei troll delle quali gli scaffali fortunatamente non si svuotano mai dato che non le compra praticamente nessuno. Ormai sufficientemente soddisfatti e stanchi da non voler strafare, ci liberiamo da qualsiasi impegno per quel che resta della giornata, complice anche il mio naso che sta ricominciando a colare violentemente sotto l'effetto del vento e del freddo. Convinco Davide a tornare presto in ostello, non riesco più a controllare le mie secrezioni, mi sento la febbre e sto consumando fazzoletti uno dopo l'altro. Il calduccio mi cura nuovamente, fino a scivolare in un sonno leggero.

L’indomani prendiamo il treno per l’aeroporto di Arlanda, ormai la nostra odissea è finita. Ci rivediamo sul prossimo treno, destinazione ignota.


Daniele