Finlandia
Qui c'è da fare un cambio: dobbiamo scendere dall'autobus ed attraversare a
piedi la cittadina di Tornio, e con essa anche il confine tra i due stati,
prima di proseguire il viaggio con un altro autobus diretto a Kemi.
L'autista del bus da noi interpellato ci indica vagamente la direzione da
seguire, e subito cogliamo l'occasione di accodarci ad un gruppo di persone
munite di zaino e biglietto interrail che sembrano sapere esattamente dove
stiano andando. Marciamo con passo spedito verso questo piccolo paese di
frontiera, che possiamo già vedere chiaramente dalla nostra posizione
iniziale. Per fortuna ogni accenno di disturbo organico è appena cessato, e
più passa il tempo più recupero forze e salute. Sono nuovamente contento di
essere in marcia e soprattutto di stare per entrare in Finlandia. Il confine
tra le due nazioni ci è stato descritto come un ponte in mezzo al quale
passa esattamente la linea divisoria, e ci aspettiamo una degna e trionfia
segnalazione. Niente di tutto questo: entriamo a Tornio senza nemmeno
accorgercene. I nostri euro tanto a lungo conservati intatti nella parte più
remota del portafogli ora finalmente hanno acquistato valore, il ponte è
un’anonima ed insignificante striscia di pietra senza uno straccio di
indicazione. Non abbiamo tempo di rimanere delusi, il bus per Kemi parte tra
pochi minuti e dobbiamo sbrigarci a prenderlo. Lo raggiungiamo all'ultimo
secondo: un altro colpo di fortuna sfacciata. Oltretutto anche questo
viaggio è gratis con l'interrail, sembra che le cose abbiano ripreso a
girare per il verso giusto.
Vediamo subito persone di fattura diversa da come eravamo abituati a vedere
solo qualche ora prima: i finlandesi, così bianchi di pelle e platinati di
capelli, sono davvero inconfondibili con gli altri nordici. Anche la lingua
finlandese, quasi per nulla influenzata dalla cultura anglosassone, è
assolutamente incomprensibile, al contrario del norvegese o dello svedese
che sono molto più abbordabili per chi conosce l'inglese. L'autista dà il
resto dei soldi ai pochi passeggeri saliti subito dopo di noi, tramite una
macchinetta ingegnosa: basta schiacciare dei pulsanti, uno abbinato ad ogni
calibro di moneta, tante volte quante monete se ne vogliono prelevare,
trovandosele direttamente in mano e del giusto valore. Un altro esempio
delle piccole migliorie che qui si vedono così spesso e che aiutano a
semplificare la vita. Il viaggio nel percorso misto tra urbano ed
extraurbano dura solo un'ora, ma non mancano le sorprese: ci accorgiamo
subito che la guida su strada in Finlandia segue regole diverse. In pratica
non esistono gli incroci con lo stop, chi viene da destra ha sempre e
comunque la precedenza anche se proviene da una strada secondaria. Per chi
si avventura in macchina in questa nazione e non è preparato, gli incidenti
sono assicurati. Fortunatamente, viaggiando in treno non si hanno
problemi…le rotaie sono molto meno interpretabili rispetto alle strisce
d’asfalto.
Kemi è solo una breve tappa di passaggio per approdare a Kuopio, la nostra
vera destinazione situata nel cuore della Finlandia. Tutto ciò che facciamo
qui è camminare per centinaia e centinaia di metri prima di trovare un
supermercato in cui rifornirci di cibarie. Ci sono negozi di ogni tipo, ma
stranamente gli alimentari sembrano scarseggiare: ogni negozio che ci pare
possa vendere cibarie in realtà vende vernici, mobili, ferramenta, vestiti,
tutto meno che il cibo. Finalmente trovato il grosso alimentari e riforniti
di viveri a prezzi ridicoli grazie ai consistenti sconti offerti dal
supermercato tedesco, prendiamo il nostro treno per Kuopio. Anche questo
viaggio è completamente gratuito per noi che mostriamo questo biglietto
stampigliato con caratteri antichi come si trovavano nelle ormai dismesse
macchine da scrivere, e finalmente ci possiamo rilassare avendo davanti una
sferragliata di diverse ore, senza soste nè cambi.
Foreste
Il paesaggio finlandese è quanto di più monotono mi sia capitato di vedere
in vita mia: foreste di abeti rossi e betulle, e null'altro. Così sterminate
da parere infinite, per ore e ore mai un cambiamento, se non per qualche
raro lago (nella regione centro-settentrionale non se ne trovano poi così
tanti, sono quasi tutti concentrati a sud-est). Il legname di questi alberi
è adatto a produrre fogli di carta e a costruire mobili e abitazioni, ma la
coltura intensiva a cui è soggetto rappresenta un pericolo per l'ambiente:
coltivare sempre e solo una o due specie di alberi porta a sconvolgimenti
anche gravi dell'ecosistema, che ha bisogno di biodiversità spiccata per
garantirsi la sopravvivenza. Le industrie cartiere finlandesi inquinano i
fiumi e i quasi duecentomila laghi della nazione, rendendoli tra i più
sporchi dell'intera Europa nonostante la loro apparente estrema purezza.
Forniscono pur sempre lavoro ad un enorme parte della popolazione
finlandese, e non potrebbe essere altrimenti con i tre quarti del territorio
coperti da boschi, rendendo però la situazione un dilemma: come fare per
continuare una produzione soddisfacente che sostenti adeguatamente i circa
cinque milioni di abitanti, ma che sia contemporaneamente sostenibile per
l'ambiente? Noi della questione ambientale vediamo solo il risvolto
paesaggistico: una noia mortale, nonostante tutto quel verde sia piacevole
da osservare rispetto ad anonime colate di cemento e sabbia. Una noia
strana, a metà tra l’ammirato e l’apatico, per questo paesaggio che potrebbe
far impazzire, se visto per giorni e giorni consecutivi sempre uguale.
Solo rarissimamente le foreste si aprono per lasciare spazio a qualche
pianura, o a quattro timorose case raggruppate assieme come per non essere
inghiottite nel nulla se osassero separarsi, o a un industria di legname o
una cartiera. Ci chiediamo seriamente cosa succederebbe se il treno si
guastasse in mezzo a queste sconfinate distese di niente, ma preferiamo non
pensarci una volta immaginato quanto dovremmo aspettare prima che qualcuno
ci soccorra, nonostante immaginiamo che i soccorsi finlandesi siano
efficienti e preparati a queste eventualità. Sui nostri sedili foderati di
blu caschiamo dal sonno e dalla noia, stanchi morti. Tutto ciò che
desideriamo ora è un letto vero su cui stravaccarsi senza più muoversi per
una giornata intera.
Ultimo sforzo
In qualche modo passa anche questo estenuante viaggio e giungiamo alla
stazione di Kuopio. È di nuovo il momento di drizzare le antenne e darsi da
fare per trovare l'ostello, che pare essere situato in cima ad una collina,
raggiungibile solo a piedi non essendoci mezzi pubblici che servono la zona.
Al primo tentativo sbagliamo strada, imprecando, al secondo l'azzecchiamo ma
abbiamo davanti due chilometri di salita, di cui uno e mezzo decisamente
ripido che sembra non finire mai. Per di più, una densa nebbia rende
impossibile capire quanta strada rimanga effettivamente da percorrere. Gli
zaini pesanti addosso ci costringono a sudare copiosamente e a fermarci
spesso per riportare i battiti del nostro cuore alla normalità e lasciar
smaltire l'acido lattico agli affaticati muscoli delle gambe. Ogni volta che
pensiamo che la curva che abbiamo davanti sia l'ultima, scopriamo che c'è
ancora un po’ di strada da fare, è una tortura vista tutta la stanchezza che
abbiamo addosso. Non pensavo davvero che due chilometri potessero essere
così lunghi! Oltretutto la reception ha un orario di chiusura, dobbiamo
muoverci o rischiamo di rimanere chiusi fuori.
Pezzati di sudore da capo a piedi, con la gola riarsa, finalmente arriviamo
in cima, giusto mezz’ora prima del tempo limite. Finalmente possiamo avere
le nostre chiavi e riposarci, sempre che prima si riesca ad aprire quella
dannata porta della camera: la chiave si incastra nella toppa, non gira.
Ormai siamo a un passo dalla salvezza ma dobbiamo tornare indietro a
chiedere un passepartout per entrare, idea che ci riempie di indolenza ma
sembra che non ci sia alternativa, la porta non ne vuole proprio sapere di
aprirsi. Con un gesto di rabbia giro la chiave più violentemente, giusto un
attimo prima di iniziare ad andarcene, e come per magia la serratura
finalmente scatta e la porta si apre, mostrandoci una bella sorpresa: la
camera è doppia! Nessuno che ci possa dare fastidio, il bagno in camera con
doccia incorporata, siamo logicamente felici. Una bella lavata è proprio
quello che ci vuole per far scivolare via la stanchezza e il sudore che
ormai non sopportiamo più. Dopo la doccia ci sentiamo meravigliosamente
bene, mangiamo con notevole appetito le vivande procurateci al supermercato,
facendo il bis più volte (con memorabile scena di apertura della scatoletta
di tonno priva di apertura a strappo, usando prima coltello, poi coltellino
svizzero e infine forbicine per le unghie finalmente con successo). Dopo non
molto ci addormentiamo, recuperando le forze perdute in previsione della
giornata intensa che sarebbe seguita: avremmo provato la famosa Jätkänkämppä,
la sauna tradizionale finlandese più grande del mondo. Potremo usufruirne
grazie all'ennesima fortunata coincidenza: è aperta solo due giorni alla
settimana, martedì e venerdì, e casualmente domani sarà proprio martedì.
Questione di destino che, nonostante tutto quello che si può dire e non
dire, esiste eccome.
Torre panoramica
Un’ottima dormita ci rigenera nel corpo e nello spirito, siamo di nuovo
pronti a tutto. La colazione a buffet è inclusa nel prezzo, da cui ci
alziamo di buon ora per approfittarne prima che il grosso venga saccheggiato
impunemente dagli altri affamati clienti. C'è veramente di tutto:
approfittiamo in modo indegno, mangiando da scoppiare. Finalmente una
colazione decente e sostanziosa, dopo giorni e giorni a mangiare schifezze
dal molto approssimativo valore nutrizionale. Toast con la marmellata di
frutti di bosco, croissant, corn flakes immersi nello yogurt, caffelatte e
succo di frutta, insomma ogni ben di Dio. Usciamo con la pancia piena e il
sorriso stampato sul volto, prepariamo velocemente i nostri pratici zainetti
per uscire, e saliamo per goderci una breve panoramica sulla grossa torre a
poche decine di metri dall'ostello. La sera prima nemmeno l’abbiamo vista,
tanto era nascosta dalla fitta nebbia. La vista da lassù è ottima: c'è molto
vento da cui non rimaniamo a lungo, ma possiamo ammirare finalmente i famosi
laghi finlandesi visti nell'insieme. Sono tutti vicini gli uni agli altri
con qualche sperduta conifera che cresce negli isolotti al centro di alcuni
di essi, un paesaggio assolutamente peculiare. Nella zona di Kuopio i laghi
sono estremamente numerosi: molti hanno descritto la vista che si ha dalla
torre su cui noi ora ci troviamo come la migliore possibile per avere un
quadro d'insieme dell’intera nazione. Foreste e laghi, d’inverno
completamente trasformati in neve e ghiaccio, oltre alle onnipresenti saune,
addirittura una ogni otto abitanti. Questa è la Finlandia.
Tutto esaurito
Discesi dalla torre, torniamo qualche minuto in ostello per organizzarci
bene e soprattutto prenotare gli ostelli di Helsinki e Stoccolma, le nostre
ultime due tappe. E' una parola: ci siamo svegliati decisamente tardi a
prenotare, causa anche gli ultimi giorni decisamente stressanti. La nostra
Lonely Planet finlandese ci dà una scelta di cinque ostelli nel centro di
Helsinki: ci permettiamo perfino di valutare pregi e difetti di ognuno,
stilando una lista di quali provare per primi e quali per ultimi, mettendo
in cima quelli con la colazione inclusa e in fondo quelli più lontani e con
meno agevolazioni. Telefoniamo al primo ostello: è pieno. Ripieghiamo sul
secondo, che è pieno anche lui. Il terzo e il quarto, che fino a poco prima
erano le scelte di ripiego se proprio non ci fosse stato alternativa,
diventano le nostre ultime speranze, ma anche loro sono inesorabilmente "fully
booked".
Capiamo che non possiamo permetterci molta scelta: mano a mano che chiamiamo
anche quelli minori, segnati sull’utile carta ostelli donataci da Pavel, ci
sentiamo rispondere che sono tutti pieni anche loro per i prossimi due
giorni. Ci riduciamo a sperare in un qualsiasi buco che abbia una branda di
qualche genere e quattro mura attorno: ne chiamiamo almeno una ventina,
sempre senza successo. Davide è ormai nauseato dalla solita frase che è
costretto a ripetere ossessivamente ad ogni chiamata "Hi, we're two guys and
we're looking for two beds for two nights...". Spendiamo settanta euro di
telefonate in poche decine di minuti. Ormai disperati, tutto quello che
otteniamo è una sistemazione a Stoccolma un po’ disagevole per il primo
giorno, meno per i successivi due, mentre per Helsinki rimane tutto in
sospeso. Esaurita la lista, non ci resta che chiamare il centro di
assistenza per il turismo a Helsinki. Ci vogliono decine di tentativi per
azzeccare il numero giusto: una volta manca lo zero, una volta manca il
prefisso, una volta ci vogliono due zeri e non uno, un’altra volta ancora
gli operatori non parlano inglese, o addirittura componendo il prefisso
finlandese ci risponde gente che parla in italiano chiedendo con fare
seccato chi siamo e cosa vogliamo. Composto finalmente il numero giusto,
apprendiamo che gli ostelli sono tutti prenotati e che dovremo soggiornare
in albergo, prontamente prenotato ad un prezzo equo. Anche questa è andata.
Kuopio
Rinfrancati dall'aver risolto il problema, è giunto il momento di visitare
finalmente il centro di Kuopio, in attesa di raggiungere la sauna che aprirà
solo alle cinque del pomeriggio. La cittadina è piena di vita: la piazza del
mercato centrale è un fermento di bancarelle che vendono di tutto, dai ribes
e lamponi alle magliette con la bandiera finlandese, fino alle coloratissime
matrioske cinesi. Il mercato coperto, Kauppahalli, è ancora più ricco di
prodotti, specialmente culinari: sono irresistibilmente attratto da una
barretta di cioccolato al mirtillo, mangiata subito dopo in un impeto di
curiosità, semplicemente squisita! Ovunque abbondano i negozi e i
distributori automatici di caffè, la bevanda preferita dei finlandesi: con
un consumo medio di quattordici chilogrammi annuali, pari a circa nove tazze
giornaliere, si collocano come i primi estimatori al mondo di questa
bevanda. Divertenti le tradizioni nordiche quando si viene invitati a casa
di qualcuno in Finlandia: il caffè va rifiutato per tre volte, accettando
poi di berne solamente mezza tazza alla quarta offerta, e finendo poi con il
berne quantità spropositate.
Dopo il mercato cerchiamo un posto dove riposarci e troviamo un parco che
contiene al suo interno un inquietante cimitero militare, ognuno con le
lastre di pietra levigata incise con nomi e cognomi degli sventurati. Ognuna
ha il suo mazzo di vistosi fiori rossi, a perenne ricordo di una morte
assurda ed insensata. Un cimitero militare è la lampante dimostrazione di
una stupidità immensa che ogni volta che mi viene messa davanti stento a
comprendere e mi viene solo da rigettare, ma che purtroppo è ineliminabile,
fa parte di noi. Quando siamo stanchi di osservare il triste monumento e di
farci assalire dalle vespe che hanno ricominciato a tormentarci, stavolta
coadiuvate da dei fastidiosissimi moschini che in Finlandia abbondano
d'estate, prendiamo l'autobus per la zona dove si trova la nostra tanto
declamata sauna.
Jätkänkämppä
L'autobus ci abbandona davanti ad un sentiero sterrato che si inoltra nel
bosco proprio di fianco ad un lago: lo imbocchiamo senza remore, curiosi di
scoprire le dimensioni della sauna “più grande del mondo”. Per me è una cosa
completamente nuova, sono un “esordiente totale”, e farla per la prima volta
proprio qui è un'idea elettrizzante. Le temperature che si trovano in questi
forni di calore secco variano dagli ottanta fino a quasi cento gradi. Questa
infatti è una Savu-sauna, letteralmente sauna di fumo: la camera rovente
viene scaldata ventiquattro ore prima dell'uso per essere alla temperatura
giusta quando viene aperta al pubblico, e il calore è prodotto dalla
combustione della legna e non dal vapore acqueo che si forma gettando acqua
sulle pietre roventi, come succede nelle saune tradizionali. L’intera
costruzione è situata immediatamente adiacente al lago, permettendo dei
veloci tuffi ai temerari che volessero provarli. I finlandesi questi tuffi
li fanno anche in inverno, rompendo il ghiaccio che si forma sulla
superficie del lago, per non perdersi nemmeno una possibilità di dare un po’
di salutare shock termico al loro corpo: la sauna è l'elemento
caratterizzante la loro cultura, usata per curare qualsiasi malattia o
malessere. Dal banale raffreddore fino alle patologie più serie, nulla è
escluso. Contrariamente a ciò che si può pensare, la sauna non è usata per
tentare approcci con l'altro sesso, ma solo per meditare un po’ e depurarsi
il fisico e l'anima.
Dopo una serie di bivi in mezzo alle foreste popolate da libellule e altri
insetti enormi, appare questa costruzione di legno, delle dimensioni di un
cottage estivo medio. C’è un ristorante tipico dall'altro lato che serve
cibo solo in corrispondenza dell'apertura della sauna, e la capanna dei
taglialegna che periodicamente danno una dimostrazione della loro abilità,
sfasciando tronchi a colpi d'ascia sicuri e precisi come sanno fare i popoli
che vivono di legname dai loro albori. L'atmosfera lacustre è peculiare: i
giunchi che spuntano ovunque dall'acqua ondeggiano leggermente con il vento,
mentre gli alberi lasciano intravedere solo una piccola porzione di lago, in
realtà piuttosto vasto, come si può apprezzare bene una volta sulla riva.
Qualche tronco è immerso per metà nell’acqua, abbandonato a marcire: forse
non è legno buono da lavorare. Dei rimasugli di legname stanno bruciando
proprio di fronte all'acqua, producendo dei gran sbuffi di fumo che il vento
spinge nella nostra direzione, facendoci tossire a più non posso. Siamo
costretti a spostarci e a ripararci dietro gli edifici finchè il fuoco non
sarà spento completamente. Le passerelle di legname in mezzo ai boschetti
portano a dei piccoli rifugi e capannine in cui certamente non si può
abitare, ma che servono solo per i bivacchi, o almeno così era in passato.
La sauna aprirà di lì a un paio d'ore, lasciandoci il tempo di mangiare un
panino con della succulenta carne di alce in scatola comprata al
supermercato, e di metabolizzare il tutto sufficientemente per poter entrare
senza rischio di pericolosi blocchi digestivi. Mentre stiamo aspettando
arriva un gruppo numeroso di italiani, tutti muniti di asciugamano, che
entrano immediatamente discorrendo sui benefici delle saune e sulle
differenze tra quelle secche e umide. Dopo aver deciso arbitrariamente che
la nostra digestione è durata a sufficienza, entriamo anche noi prima che la
sauna si riempia: la capacità teorica è di sessanta posti, che possono
arrivare anche a centotrenta se piena fino a scoppiare, ma è meglio non
rischiare: la gente inizia ad arrivare a frotte. Il gentilissimo e
sorridente gestore dagli enormi occhi azzurri ci ricorda che possiamo usare
la student card, casomai ne avessimo una, per ottenere uno sconto sul
biglietto: un’altra dimostrazione di onestà, sarebbe potuto stare
tranquillamente zitto e incassare di più. Depositati gli zainetti e ogni
cosa di valore nel ripostiglio, affidandoli direttamente alle mani di lui
senza timore di frodi, entriamo nello spogliatoio. Diversi uomini nudi o
quasi si stanno asciugando e rivestendo senza fretta. Inizialmente credo che
quella stanza sia già la sauna, sentendo un gran calore umidiccio, ma
capisco subito che è solo lo spogliatoio. Rimaniamo in costume, anche se i
finlandesi non ne vedono di buon occhio l'utilizzo perchè il calore intenso
potrebbe degradarlo liberando molecole tossiche, oltre a impedire ai tessuti
sottostanti di traspirare normalmente. Per sicurezza chiediamo espressamente
al gestore se sia consentito usarlo, indicandoglielo a gesti data la nostra
ignoranza nella traduzione della parola "costume" in inglese, e la risposta
è affermativa.
Una volta pronti e muniti di due asciugamani, entriamo in un locale un po’
più caldo, con delle docce a muro. Nemmeno quella è la sauna! Vedo una porta
sul lato aprirsi e qualcuno entrare coperto solo da un asciugamano legato
attorno alla vita, allorchè capisco che la camera del calore è lì dietro.
Non ho idea di cosa mi stia aspettando in quella fornace, da cui entro con
decisione. Non appena mi rendo conto della temperatura interna, rimango
scioccato. L'ambiente è incandescente, quasi insopportabile: il muro di
calore mi investe in pieno e sento quasi subito i battiti del mio cuore
accelerare convulsamente. Mi siedo, camminando lentamente per non peggiorare
le cose, su una delle tre file di panche di legno. Evito accuratamente
quelle della fila più in alto, ricordandomi tutt'a un tratto che il calore
tende a salire verso l'alto. Dopo nemmeno una ventina di secondi sento già
la pelle, che fino ad un attimo prima era asciutta, riempirsi di sudore
ovunque: nei capelli, tra le dita, sulla pancia, sui polpacci, una sudata
generalizzata. È una sensazione mai provata prima, credo di sentirmi male ma
è solo l'emozione, in men che non si dica stiamo tutti e due letteralmente
nuotando nel nostro sudore. Respiriamo mano a mano sempre più normalmente
grazie alla natura secca di quel calore che non opprime i polmoni, ancora un
po’ frastornati da questo ambiente così ostile ma tutto sommato anche
piacevole. I (pochi) finlandesi ivi presenti, ligi alla tradizione,
prelevano l'acqua bollente da delle ciotole metalliche, usando dei mestoli
sparsi per le panche anch'esse roventi, e la lanciano sul braciere
producendo getti di vapore sfrigolante che vanno ad aumentare ancora di più
la temperatura. Le dimensioni della stanza quadrata, che è realmente la più
grande del mondo, non superano i cinque metri di lato, per due metri
abbondanti di altezza: alla faccia della grandezza! Ma non c’è trucco: le
classiche saune finlandesi che si trovano nelle case sono grandi più o meno
come un’utilitaria.
Tuffo nel lago
Presto la temperatura e le condizioni della nostra pelle ormai completamente
impiastricciata si fanno insopportabili, sentiamo il bisogno di uscire da
quella fornace che ci sta consumando. Traballando sulle gambe usciamo
lentamente dalla camera infuocata, e appena fuori dalla porta il sollievo è
quasi immediato. Non osiamo fare subito il tuffo nel lago preferendo come
prima volta una "semplice" doccia gelata. In qualsiasi altro momento una
cascata d'acqua addosso a quella temperatura ci bloccherebbe il respiro
istantaneamente, ma adesso è quanto di più rigenerante ci possa essere: il
getto d’acqua, freddo che più freddo non si può, sulla pelle caldissima
sembra quasi tiepido. Dopo un paio di minuti di doccia, gradualmente
spostata su temperature più canoniche, decidiamo di rientrare: è
assolutamente da rifare! Il ritorno nell'altoforno è meno traumatico adesso
che la nostra pelle è più umida, sarà l'acqua che ci è rimasta addosso ad
evaporare per prima, tenendoci un po’ più freschi. Rimaniamo dentro qualche
minuto di più, non più con la lingua paralizzata dallo shock e dall'arsura:
stavolta conversiamo quasi normalmente anche se non c'è molto da dire,
preferiamo concentrarci sulle sensazioni fisiche. Il prolungamento del tempo
passato lì dentro ha ora una finalità precisa: tra poco proveremo il tuffo
nel lago, dobbiamo accumulare molto più calore. Usciamo dopo cinque minuti
circa, sulla passerella di legno all'aperto. Avvertendo a malapena il vento
sferzante, camminiamo il più velocemente possibile verso il molo di legno.
Davide si tuffa a peso morto, con una gran spanciata: il tempo di rendersi
conto della temperatura del lago e subito strabuzza gli occhi, terrorizzato,
uscendo il più velocemente possibile. L’acqua deve essere proprio fredda!
Non sapendo nuotare io mi devo immergere gradualmente, scendendo i gradini
al limite del ponticello. Arrivo con l’acqua alla gola, è un altro shock!
L’acqua è decisamente fredda anche se infinitamente meno ora che ho
assorbito tutto quel calore. Di certo quando non ero ancora entrato in sauna
mai e poi mai mi sarei buttato nel lago così! Uscendo dall'acqua non abbiamo
nemmeno troppo freddo, ci copriamo solamente lo stomaco con l'asciugamano
per evitare una congestione e subito torniamo dentro, per rifarlo ancora
quattro volte tra caldo e freddo! Le ultime due volte Davide si tuffa in
acqua correndo a più non posso, imprecando a denti non troppo stretti contro
chi involontariamente intralcia il percorso fino al ponticello. Riesce
comunque a buttarsi abbastanza velocemente, per amplificare ancora di più
l’effetto shock dell’acqua fredda. È come una droga, invita a rifarla ancora
e ancora: piacevolmente rilassante, estremamente salutare. Dopo un certo
tempo avvertiamo un po’ di stanchezza da tutto quello strapazzamento, i
polpastrelli delle dita si sono raggrinziti tantissimo, completamente
macerati nell'acqua e nel sudore. Da cui decidiamo di finirla lì e di farci
l'ultima doccia per rimetterci in sesto prima di andarcene.
Relax
Dieci minuti dopo siamo di nuovo vestiti e privi di qualsiasi stanchezza o
malessere fisico residuo: i benefici della sauna sono davvero consistenti,
ci si sente proprio un'altra persona, come nuovi. Per coronare al meglio la
giornata, ci concediamo un bel boccale di birra contornata da degli ottimi
cracker sulle panchine fuori dal cottage. Guardando la gente in costume che
si tuffa nel lago, senza essere più parte di loro, ci torna in mente quello
che pensavamo fino ad un’ora prima: sono pazzi ad andare in giro nudi con
questo freddo! Ci improvvisiamo poi guide turistiche quando una famiglia
italiana viene a chiederci informazioni su come funzioni la sauna, e siamo
molto contenti di poterli aiutare, questo shock termico ci ha messo
particolarmente di buon umore. Siamo pienamente soddisfatti: anche questa è
andata, e siamo sopravvissuti ancora una volta. Lasciamo questa scena dopo
aver assistito alla divertente scena di un pescatore che arriva svuotando
rumorosamente degli interi torrenti d'acqua dai suoi stivali, tra le risate
generali. È tempo di risalire sul bus e tornare al nostro ostello, domani
partiremo ancora da qui, alla volta della capitale di questa affascinante
regione.
Verso Helsinki
Sono io il primo ad alzarsi dal letto, alle sei e tre quarti, due minuti
prima che suoni la sveglia all'ora programmata. Ormai ho sviluppato una
sorta di orologio biologico tarato sulle frequenze del viaggio, che mi fa
spesso ridestare all'ora giusta senza quasi bisogno di puntare alcuna
sveglia. Una velocissima colazione ancora una volta gratuita, poi
riprendiamo sulle spalle i pesanti zaini, sempre più carichi di biglietti
timbrati e scontrini dei negozi tutti accuratamente conservati per non
perdere nemmeno un pezzettino di ricordi, e scendiamo per l'ultima volta da
quella collina. Il peso degli zaini ci tira in giù molto velocemente e siamo
costretti spesso a rallentare volontariamente per non sfracellarci gli
alluci dentro le scarpe. Io sono fermamente intenzionato a fare l'autostop
se solo passa un'automobile: non è un metodo perfettamente sicuro, ma
avendolo già fatto una volta in vita mia quando ero poco più che bambino ed
essendone uscito perfettamente indenne, non avrei problemi a rifarlo. Non
passa però anima viva su una macchina, se non in senso contrario al nostro,
e la strada ce la facciamo tutta a piedi anche stavolta. Il treno è munito
di una carrozza a due piani in cui abbiamo prenotato i nostri posti:
scopriamo solo una volta a bordo che ci toccano i posti adiacenti all'area
attrezzata per i bambini, dai piccoli ai piccolissimi. Risultato: cinque ore
di viaggio tra urla, risatine, pianti inconsolabili, versi e sbrodolii,
madri disperate che non sanno più come far stare zitti i loro pargoli. Il
resto del treno è pieno zeppo di altri posti vuoti per sederci che non
possiamo usare, ma sopportiamo tutto senza lamentarci. Non possiamo trovare
molta distrazione nel paesaggio: anche andando al sud le cose non migliorano
di molto, è sempre tutto estremamente lineare ed uniforme. C’è solo qualche
lago in più, che osserviamo dal nostro finestrino con decrescente interesse.
Non scendiamo direttamente alla stazione centrale di Helsinki, bensì alla
fermata prima: il nostro albergo, un po’ fuori zona, si trova proprio in
corrispondenza della penultima sosta. Nella stazione in cui arriviamo ci
sono indicazioni per ogni luogo meno che per dove dobbiamo andare noi, i
bigliettai non parlano inglese (o almeno così affermano vivacemente) e non
ne vogliono sapere di ascoltarci. Non siamo abituati a questo trattamento e
rimaniamo un po’ delusi, ma almeno ci rispondono indicando sbrigativamente
una direzione col dito quando insistiamo per dirgli almeno il nome
dell'albergo dove siamo diretti. Decisamente scortesi, ma non è detto che i
nordici debbano per forza essere gente educata e gentile, ogni cesto ha la
sua mela marcia. Camminando in quella direzione finiamo in uno strano
quartiere, fatto di sopraelevazioni di cemento intervallate da sprazzi di
verde, in cui si alternano enormi edifici commerciali e più modeste
palazzine residenziali, ed anche una biblioteca per soddisfare la voglia di
lettura del popolo con il più alto tasso di libri e quotidiani letti
nell'intera Europa. Dopo un po’ di peregrinazioni e di informazioni chieste
ai passanti, giungiamo al nostro mastodontico residence, in una zona
decisamente periferica.
L’albergo delle meraviglie
E' decisamente un’oasi nel deserto rispetto agli ostelli in cui siamo
abituati ad alloggiare: lussuoso, pulitissimo, decorato in ogni modo
possibile. E dire che è il più economico della zona. Veniamo trattati con
gentilezza estrema dalla bionda receptionist, che ci illustra ogni singolo
dettaglio di funzionamento dell’hotel. La nostra camera, all'ottavo piano, è
stratosferica. Tanto per dare un’idea, è munita di comodità esagerate come
lo stirapantaloni (!), un intero servizio di bicchieri, frigobar con ogni
genere possibile e immaginabile di superalcolico (ma a prezzi ovviamente
esagerati), televisione con il messaggio di benvenuto "Dear Mr Davide" e le
istruzioni visualizzate per informarsi sulle funzioni e servizi alberghieri,
il ferro e l'asse da stiro, una presa per il modem addirittura allungabile,
asciugacapelli, bustine di cappuccino già pronte da miscelare con l’acqua
fatta bollire direttamente in camera con la macchinetta apposita, luci che
si accendono e si spengono automaticamente inserendo la carta magnetica
nella fessura, e tantissimo altro ancora. Il tutto a poco più di quaranta
euro a notte. Paragonato agli alberghi italiani, che per la stessa cifra
offrono un terzo di tutto ciò, è lo specchio di una nazione veramente ricca
ed evoluta, attenta alla qualità dei servizi per i suo cittadini.
Helsinki
La capitale della Finlandia è una città famosa per le sue molteplici
influenze culturali e la sua variegatezza. Si parlano indifferentemente due
lingue ufficiali eppur così dissimili, il finlandese e lo svedese, e si
notano chiaramente le influenze russe, data la grande vicinanza col
territorio sovietico e la lunga storia di battaglie e collaborazioni che li
accomuna. Appena usciti dall'affollata stazione centrale, vediamo subito una
città molto animata, mille volte più di Oslo: c’è gente di ogni nazionalità,
edifici di ogni tipo di architettura, generalmente non molto elevati. Il
sistema di trasporti pubblici e di regolamentazione del traffico è ottimo:
Helsinki è tralaltro l'unica città finlandese a fare uso di metropolitane e
tram. Dopo una breve sosta ad un fast food la nostra prima tappa è il
conosciuto Kauppatori, il mercato del pesce all’aperto: passiamo solo
davanti alle sue bancarelle arancione brillante, promettendoci di
rivisitarlo in seguito, tirando dritto per vedere subito la famosa chiesa
luterana, il cosiddetto Duomo di Helsinki situato in piazza del Senato,
accoppiato alla statua di Alessandro II di Russia che si staglia fiero in
mezzo alla piazza sul suo cavallo anch'esso di pietra. La chiesa è molto
sopraelevata e domina tutta la città, con queste scale interminabili su cui
siedono costantemente orde informi di turisti, l'enorme cupola centrale, le
pareti bianchissime sia all'esterno che all'interno, così perfettamente
levigate e candide da sembrare di ghiaccio. È la prima chiesa totalmente
priva di affreschi che vedo. Ha il suo fascino, è veramente imponente. La
zona è invasa dai visitatori, italiani in primis, per cui ci spostiamo
presto in un'altra area più tranquilla, a vedere una vera meraviglia di
architettura e gusto artistico: la Uspenskin Katedraali, chiesa ortodossa
dall'inconfondibile stile russo. Ha le murate rossastre e le classicissime
cupole d'oro a cipolla, di cui due su un lato appena sostituite che brillano
decisamente più delle altre. Magnifica all'esterno e soprattutto
all'interno, che riusciamo a vedere non più di un minuto prima che
chiudesse. Ammiriamo tutti i quadri che tappezzano la parete, anch'essi
riccamente decorati e dorati, e finiamo con uno sguardo fugace rivolto
all'altissima cupola, in parte coperta da uno sfarzosissimo lampadario dalle
mille candele.
Riprendendo a girare per le vie del centro, ci viene l'idea di comprarci
qualcosa di alcolico, per festeggiare degnamente almeno una serata con una
buona bottiglia: l'idea è subito accolta, ma dobbiamo stare attenti a come
fare. Anche in Finlandia gli alcolici non sono ben visti dalla polizia, e si
vendono solo in negozi appositi (nonostante ciò non riduca di molto il
problema dell’alcolismo anche qui molto sentito). Veniamo a conoscenza di un
negozio di alcolici non molto lontano da dove ci troviamo, e lo puntiamo
speditamente: l'età necessaria l’abbiamo superata, nessun impedimento. In
quel negozio c'è ogni tipo di alcolico esistente al mondo, vini provenienti
da ogni angolo del pianeta, Italia inclusa, si arriva perfino all'Australia.
Individuo quasi subito una solitaria bottiglia di vermouth rosso a buon
mercato, in un angolino di uno scaffale e coperta da un leggerissimo velo di
polvere, a testimoniare il tempo che ha passato lì senza che nessuno la
prendesse in considerazione. Insisto per comprarla, snobbando il ben più
gustoso ma costosissimo Martini che campeggia in bella vista poco più sopra,
perfettamente pulito. Alla fine ho la meglio: l’impolverato ma onesto
vermouth sarà il nostro festeggiamento della serata, quando torneremo
all’ovile.
Sotto la pioggia che inizia a cadere leggera arriviamo ad un imponente
chiesa tedesca, purtroppo chiusa. E' un vizio dei nordici quello di aprire
le chiese solo per pochissime ore al giorno, non riusciamo veramente a
capire il perchè. Un po’ scornati proseguiamo arrivando ad un'altra chiesa
(sono veramente tante qui!), dedicata a San Giovanni: ricorda un po’ Notre
Dame di Parigi per le sue due torri identiche sulla parte frontale,
enormemente alte. Anch'essa è di stile luterano, è la chiesa in pietra più
grande della Finlandia. Magnifica all'interno e all'esterno, specie nelle
vetrate colorate, la mia parte preferita di ogni chiesa: hanno un che di
celestiale, che non può fare a meno ogni volta di lasciarmi senza fiato,
come quando visitai la Sainte Chapelle, una piccola cappella gotica nel
centro di Parigi quasi interamente composta da vetrate coloratissime e
celestiali.
Dopo questa meraviglia tocca ad un'altra chiesetta luterana dall'altra parte
della città, completamente incastonata nella roccia: dopo una lunghissima
camminata per raggiungerla, fortunatamente la troviamo ancora aperta. Il
sacerdote, con il suo lungo abito talare verde, sta celebrando messa. La
roccia forma un cerchio tutto attorno alle panche e all'altare, con l'organo
incastrato in un'altura sulla sinistra. Il tetto ramato è sostenuto da dei
fitti piloni di acciaio su tutta la circonferenza, con un effetto di
contrasto tra l'antico e il moderno davvero sorprendente. Ascoltiamo un po’
il prete finlandese mentre declama i passi del Vangelo nella sua lingua così
incomprensibile, per poi ritornare sui nostri passi fino all’albergo.
Il vermouth
Soddisfatti dalla giornata molto produttiva, escogitiamo ogni sistema
possibile per rendere la pantofolaia serata divertente: in un lampo di
genio, cerchiamo di connettere il lettore Mp3 alla televisione, sperando che
siano compatibili, ma non è munita di presa adatta. Così ripieghiamo
mettendo gli auricolari a volume massimo e incollandoli con lo scotch agli
angoli della televisione, rivolti verso di noi e verso l'alto per sentire il
più possibile, cose che solo due malati di mente si possono inventare.
Apriamo la bottiglia soddisfatti, vuotandola lentamente bicchierino dopo
bicchierino, in allegria. I momenti più divertenti si verificano quando
Davide fa una capriola sul letto e io gli intimo di smetterla di fare quei "trabaglioni",
parola completamente senza senso, non so assolutamente cosa avessi voluto
dire, mi è uscita proprio spontanea. Altro momento da risate assicurate è
quando tento di versare altro vermouth nel bicchiere, inclinando sempre di
più la bottiglia fino quasi a metterla in verticale, col vino che non ne
vuole sapere di uscire, finchè mi accorgo di non aver tolto il tappo. Ci
addormentiamo di lì a poco, dopo esserci raccontati vecchie storie di liceo
e di vita vissuta, tutte ricordate con grande nostalgia e un velo di
tristezza, ma che ancora oggi ci fanno sorridere come allora. Davide si
addormenta dopo di me, con la pancia all'aria esposta al freddo,
svegliandosi solo verso le quattro causa una vescica tesissima. Si renderà
conto solo allora di aver lasciato tutte le luci accese. Io non mi accorgo
di nulla dormendo come un sasso fino alla mattina successiva.
Helsinki
Un po’ rimbambiti e assonnati, con la schiena indolenzita dai morbidissimi
letti d'albergo tanto invitanti quanto dannosi per la colonna vertebrale,
ritardiamo la colazione per riprenderci un po’ dagli effetti dell’alcol.
Approfittiamo comunque di quanto ci viene offerto dal generoso buffet,
logicamente molto più ricco di quello seppur abbondante nell'ultimo ostello
a Kuopio: ci sono perfino le uova e il bacon per qualche eventuale inglese
in vacanza, cibarie che ovviamente noi stiamo male solo a guardare. Ci
accontentiamo di qualche croissant con caffelatte, per poi ripartire alla
volta di Helsinki, oggi sarà un'altra dura giornata di turismo culturale. La
prima attrazione del giorno è il museo di arte moderna, che a me non ha mai
interessato molto ma non possiamo escludere dalla lista: ad Helsinki i posti
da visitare non sono poi moltissimi. Dentro non c'è granchè: i soliti panni
sporchi stesi e venduti come opere d'arte, forme bizzarre o quadri
monocromatici, lattine di colore tremendamente arrugginite ed ammassate
tutte assieme a simboleggiare il lavoro dell'artista. La classica frase che
viene da pensare quando si assiste a tali opere è "Ma queste potrei farle
anch'io, anzi meglio di loro!", e nonostante quello che dicano gli esperti
in materia sui significati nascosti che celano, sono convinto che sia la
pura e semplice verità. Ma questa è solo una mia considerazione personale:
certe opere sono anche affascinanti, a volte inquietanti. Una su tutte il
video di un gruppo di bambini, probabilmente in qualche zona dell'Est
europeo devastata dalla guerra, che prendono letteralmente a mazzate una
vecchia automobile, trasformata in giocattolo da sfascio in mezzo alla
strada. I genitori assistono a metà tra il divertito e l'indifferente, fino
all'arrivo della polizia che mette fine al "gioco". Non so se il video sia
autentico o costruito ad arte, ma nel caso fosse vero sarebbe veramente
disturbante, simbolo di violenza e degrado a livelli preoccupanti.
Decisamente più ricco ed interessante il secondo museo, dedicato alla storia
di Helsinki e della Finlandia in generale, dalla preistoria fino ai giorni
nostri: dai chopper scheggiati dell'età della pietra, alle sfavillanti cotte
di maglia medioevali, fino alle coloratissime e ormai dismesse markke
finlandesi, la valuta abbandonata da qualche anno in favore dell'euro e
ormai esposta in museo come una rarità. Terminata la lunghissima visita,
optiamo per qualcosa di più classico: un giretto di piacere al mercato del
pesce, vero cuore di Helsinki, affacciata direttamente sul Golfo di
Finlandia. Si tratta del centro nevralgico della città: nelle vicinanze si
trovano quasi tutti gli attracchi per i battelli che visitano le isolette
circostanti, molto numerose e ricche di interessanti attrazioni turistiche.
Una pista ciclabile l’attraversa completamente, nelle intersezioni ci sono i
soliti semaforini e addirittura vediamo un comico cartello di pericolo
recante due bici che si stanno per scontrare, invitando i ciclisti a
rallentare nel punto di intersezione tra le due corsie: quando mai in Italia
troviamo segnalazioni e semafori costruiti apposta per i ciclisti, costretti
il più delle volte a improbabili percorsi sui cigli della strada mentre le
auto rischiano costantemente di travolgerli? Nelle bancarelle si vende ogni
tipo di cibaria e souvenir, tra cui gli ottimi kalakukko: li compriamo senza
sapere che sono un piatto tipico finlandese. Lo scopriamo poco dopo: si
tratta di squisiti panini di segale imbottiti di salmone e verdure miste, da
servire caldi o freddi a seconda dei gusti del consumatore, e che ci
sbafiamo con enorme soddisfazione dal primo all'ultimo boccone, sotto le
tende arancioni che ci riparano anche dal sole veramente noioso. Dopo
numerosi pranzi e cene in ristoranti indegni di questo nome che servono cibo
spazzatura, veloce ed a buon mercato quanto si vuole, ma decisamente poco
sani, questo è un piacevole diversivo: con lo stomaco non troppo pieno date
le piccole dimensioni dei panini, ma pienamente soddisfatti, ci prepariamo
per la visita alla storica isola di Suomenlinna, a pochi minuti di traghetto
da dove ci troviamo: un arcipelago di sei isole, anch'essa protetta dall'Unesco
ed inserita nei Patrimoni dell'umanità.
Nella zona sono presenti molte attrazioni come la fortezza e il sottomarino
della seconda guerra mondiale, ora trasformato in attrazione turistica. Al
nostro arrivo l'isola non è invasa da turisti, c'è un vento freddo e un'aria
di pioggia che si sta preparando a cadere. Camminando lungo le strade
ghiaiose e ciottolate circondate da mura, sbuchiamo in un campo da calcio
vuoto con tanto di pallone dove ci divertiamo a suon di tiri liberi, ma dopo
poco ci stanchiamo ed iniziamo la visita vera e propria. A poca distanza
infatti c'è il museo principale dell'isolotto, dedicato alla fortezza. Una
volta scoperto però che pagando una cospicua cifra per entrare avremmo solo
visto un video che illustra tutta la storia dell'isola, optiamo per
visitarla di nostra iniziativa. Lungo le stradine ciottolate si respira
l'atmosfera delle guerre del Settecento, quando la Svezia, onde evitare di
subire l'ondata dell'espansionismo russo, mise in mezzo la Finlandia a fare
da tappo, fortificando pesantemente l'isola. I bastioni sono ormai ricoperti
in gran parte d’erba, che la ripara quasi completamente dagli sguardi
provenienti dal cielo, rendendo la fortezza quasi indistinguibile dalla
vegetazione. In centro svetta fiera ed altissima la bandiera finlandese,
come a simboleggiare l’eterna indipendenza rivendicata da questo piccolo e
coraggioso Stato.
Il sottomarino
L'attrazione più interessante che vediamo a Suomenlinna è però il vecchio
sottomarino, l'unico rimasto della flotta finlandese dai tempi della guerra.
Esternamente è verniciato di rosso e bianco, un po’ sbiadito dai suoi anni
di servizio sott’acqua. E’ completamente emerso ed incastrato in modo
apparentemente precario su degli scogli costieri, che reggono in pochi punti
quasi tutto il suo peso. Con due euro ci guadagniamo una visita in questo
minuscolo ambiente vitale che ai tempi scendeva chilometri sott’acqua, tra
la paura dei marinai che potevano da un momento all’altro vedere quell’angusto
barattolo di lamiera riempirsi d’acqua e fiamme dopo una silurata. L’interno
è stupefacente: la poca luce artificiale non permette di vedere nel
dettaglio tutti i particolari, ma ciò che si vede è già sufficiente per
capire di trovarsi in un miracolo di ingegneria. Ogni centimetro quadrato di
parete è percorso da tubi di acciaio ognuno col relativo manometro per la
pressione, si intersecano tutti in un labirinto intricatissimo. Il passaggio
centrale è strettissimo e si fa fatica a passarci, nonostante siamo
praticamente gli unici visitatori del momento. Un’estremità ospita i vecchi
siluri, finalmente inoffensivi. I marinai non potevano vedere i siluri
nemici che puntavano spediti contro il proprio sottomarino: potevano solo
sentirne i boati, sperando di essere stati mancati. In caso contrario,
sarebbero stati guai grossi: non riesco ad immaginare la forza di volontà e
lo spirito di adattamento che dovevano possedere questi uomini, per non
impazzire sott’acqua. Le cuccette dei marinai, ormai senza materassi né
coperte, sono anch’esse terribilmente anguste: non v’è nemmeno lo spazio per
girarsi, dovevano essere di una scomodità unica. Ringrazio chi di dovere di
non essere nato in quegli anni di insensata e sanguinosa guerra.
Doppio arcobaleno
Usciti con molta difficoltà dal portellone posteriore, ci troviamo sotto una
pioggia intermittente ed estremamente fastidiosa, peggiorata dal vento che
la fa scorrere praticamente di lato. Il battello senza tetto ci riporta
indietro verso la terraferma, mentre fortunatamente spunta un accenno di
sole. Vediamo durante la traversata alcune isolette di pochissimi metri
quadrati con una sola casetta al centro, tutte munite del proprio personale
attracco per le barche. Ci fanno sorridere: chi mai vivrà in quel fazzoletto
di terra in mezzo al mare, che sembra quasi una di quelle isole
microscopiche con l'unica palma da cocco centrale tipicamente associate ai
naufraghi da messaggio in bottiglia? Mentre ci immaginiamo le possibili
risposte, attracchiamo e ricominciamo i nostri giri, da viaggiatori
instancabili (o quasi) quali siamo, trovandoci di fronte ad un fenomeno
eccezionale: un doppio arcobaleno sullo sfondo della chiesa ortodossa, il
primo prepotentemente visibile, il secondo tenue ed appena accennato,
entrambi che formano un arco sopra le bellissime guglie d'oro. Piove con il
sole che splende, è un momento davvero particolare che ancora una volta mi
fa sentire fiero di essere lì. Approfittiamo della schiarita che comincia a
diventare definitiva per riposarci un po’ seduti di fronte al porto:
osserviamo attentamente le navi attraccate con i ristoranti all'aperto sui
ponti, le grosse gomene tutte avvolte attorno alle bitte per evitare che i
battelli scappino via sospinti dalla continua brezza, e in lontananza le
enormi navi da crociera, mosse dalle loro centinaia di resistenti motori
diesel che le sospingeranno lungo i mari per giorni interi. Recuperate
sufficientemente le forze dopo la stancante giornata, ripassiamo nella
piazza del Senato per raggiungere la stazione centrale, intercettando
un'esibizione di canto con centinaia di persone in piedi sulle scale ognuna
col suo leggìo. Dopo averle ascoltate per un po’, insieme a tutti i turisti
che affollano la piazza e si sono fermati come noi per assistere allo
spettacolo, riprendiamo la via dell'albergo, dove troviamo un'altra
sorpresa: i nostri vestiti, lasciati stropicciati e ammassati irregolarmente
sui letti anch'essi sfatti, sono ora perfettamente stirati e piegati, sui
letti di nuovo perfettamente lindi e senza nemmeno una piega. Un servizio
decisamente diverso a quello a cui siamo abituati da qualche settimana, e
che rischia di viziarci un po’ troppo! Un bel bagno nella spaziosa vasca per
eliminare tutta la sporcizia e la stanchezza residua, e poi subito tra le
braccia di Morfeo, preparandosi all'ultimo giorno da passare nella capitale.
Lo zoo
Questa volta la sveglia suona un po’ più tardi, non avendo scadenze precise
da rispettare la mattina, così possiamo dormire un po’ più del solito. I
dolori al rachide dovuti all'eccessiva morbidezza dei materassi sono ancora
presenti, ma attenuati rispetto alla scorsa mattina, ci stiamo già
abituando. Liberi stavolta da qualsiasi effetto collaterale di bevande
alcoliche, possiamo finalmente permetterci una pantagruelica colazione, in
cui torniamo a riempire il piatto più e più volte di qualsiasi cibaria
presente sui tavoli, incuranti degli effetti di riflesso che probabilmente
comporteranno sul nostro intestino. Il caffè viene erogato dalle macchinette
in quantità esagerata per come siamo abituati: l'equivalente di una moka da
tre qui vale per una persona sola come prima colazione, per cui sono
costretto a buttarne via gran parte per poterlo diluire: non è possibile
farsene dare di meno dalle macchinette tarate apposta per elargire quelle
quantità e non di meno. La cameriera si stupisce del mio gesto, non riesce a
credere che si possa buttare via del caffè, ma mi lascia fare senza
obiettare. Una volta pieni da scoppiare come delle enormi larve
superalimentate, da far fatica ad alzarsi dalla sedia, barcolliamo
lentamente verso la camera per recuperare tutto il necessario per la
giornata. Questa mattinata la passeremo allo zoo su un'altra isoletta vicina
a Suomenlinna. Un legnoso battello percorre in poco più di un quarto d'ora
il tratto di mare che ci separa dagli animali. Il controllore vende i
biglietti direttamente sul traghetto, di vario colore a seconda della fascia
di età, comprendenti traversata e ingresso. Un timido scoiattolo che corre
qua e là velocissimo in preda all'agitazione, scomparendo infine in cima ad
un albero, ci dà il benvenuto sulla stradina che conduce alle gabbie dei
grandi felini. Il leone è in siesta pomeridiana, così come la tigre, che a
malapena apre gli occhi sentendoci arrivare, ancora pesantemente assonnata.
I ghepardi sono un po’ più attivi ma si muovono in modo artefatto, ripetendo
gli stessi movimenti ossessivamente, probabilmente molto sofferenti per la
loro condizione di prigionia. Un simpatico gatto selvatico sta dormendo
appollaiato in cima ad un albero, con l'espressione beata che hanno tutti i
gatti durante il sonno. Ce n'è per tutti i gusti: le alci con le loro
ramificate corna, i cammelli dal morso e dallo sputo facile, le povere
gazzelle costrette in poche decine di metri quadri di spazio, dove non
possono certamente correre con tutta la velocità di cui sono capaci nella
savana. I canguri con le loro zampette anteriori così corte che usano solo
per raccogliere il cibo, e la loro buffa andatura saltellante così
caratteristica. Gli emù, grossi uccelli molto simili agli struzzi ma dal
piumaggio molto più scuro, che ci guardano con un'espressione bellicosa,
decisamente ostile. I vanitosi pavoni, in stato di sorprendente semilibertà,
che davanti a noi non si sprecano a fare la loro ruota, riservata unicamente
ad impressionare gli esemplari femminili. Gli scortesi lama, notoriamente di
carattere difficile, che scappano non appena ci vedono arrivare. Gli enormi
bisonti, dal peso che può raggiungere la tonnellata, intenti a masticare
tranquillamente la loro paglia, con quella parte anteriore così enorme in
confronto a quella posteriore, e le possenti corna che ucciderebbero
qualsiasi essere umano osasse sfidarli. Particolarmente divertente il branco
di babbuini dal sedere rosso e prominente, estremamente agili
nell'arrampicarsi su qualsiasi appiglio trovino. Il loro urlo è lancinante e
stridente, a volte iniziano tutti insieme a gridare senza alcun apparente
motivo. Uno di loro si porta dietro un pezzo di legno per minuti e minuti
credendo di aver trovato un tesoro, per poi lanciarlo a terra spezzandolo.
Rimaniamo a guardarli per diverso tempo, specie quando la porticina
metallica si apre e gli permette di entrare nella giungla artificiale, dove
amano darsi la caccia gridando come ossessi e rotolando sulle reti
appositamente studiate per le loro acrobazie. All'interno, in gabbie di
vetro, troviamo gli animali amazzonici ed africani: gli orribili scarabei
ammassati a centinaia, grossi come una noce se non di più, che farebbero
scappare terrorizzato anche il più coraggioso degli esploratori. I serpenti
boa, in grado di stritolare un uomo in pochi secondi, ma fortunatamente
inoffensivi e anche piuttosto pigri dietro i vetri. Poi una serie
innumerevole di animali marini, ragni, crostacei ed echinodermi, purtroppo
non c'è più tempo e dobbiamo scappare a prendere il traghetto per il
ritorno.
La nave
Dei fotografi che ci mostrano tutti e trentadue i loro denti in un sorriso
radioso ci invitano a farci fotografare poco prima di salire, è impossibile
rifiutare dato che hanno messo le macchine fotografiche in posizione
strategica; probabilmente tutto ciò serve ad avere un qualcosa di
identificativo nel caso qualcuno si perda o abbia dei problemi di qualche
genere. Due pagliacci vestiti nei modi più strani ci accolgono salutandoci
calorosamente, e finalmente riusciamo ad accedere al settimo piano, quello
dell'imbarco. Subito ci guardiamo intorno increduli di ciò che vediamo da
ogni lato: centri commerciali mastodontici, l'insegna di un casinò in fondo
al corridoio, degli ascensori con la parete trasparente in cui vediamo le
persone salire e scendere da ogni dove, uomini sui trampoli a far divertire
i bambini. Per la gioia degli amanti del gioco d’azzardo, c’è una quantità
smisurata di videopoker e macchinette ripiene di monetine in bilico sul
bordo magnetizzato e protetto dall' Intelligent Crash, che cadranno
solamente quando verranno spinte da sufficienti altre monete inserite una
dopo l'altra da chi pensa di essere abbastanza abile e fortunato. Un ottimo
modo per perdere i propri soldi! Mentre camminiamo, un mimo vestito di
bianco e nero luccicante e con la faccia pittata degli stessi colori
intercetta la camminata di Davide, piazzandosi dietro di lui e seguendo ogni
suo movimento, in modo insistente e piuttosto irritante. Il nostro eroe per
un po’ fa finta di niente sperando che il buffo personaggio molli la presa,
ma non sembra proprio che se ne voglia andare…così riesce a liberarsene
simulando un impatto contro una ringhiera e piegandosi in due, da cui il
mimo per seguire quella posizione avrebbe creato situazioni imbarazzanti!
Congratulandosi per la trovata, il pagliaccio finalmente lo lascia in pace e
va ad importunare qualcun altro. La nostra cabina è al quinto piano, il più
basso a cui si trovino le cuccette: si trova in fondo ad un dedalo
inestricabile di corridoi tutti uguali in cui si rischia seriamente di
perdersi, ma almeno le indicazioni sono chiare, e la troviamo velocemente.
E' un buco senza finestre, con due letti a castello e pochissimo spazio
vitale, ma ci accontentiamo volentieri. Sempre meglio che dover dormire sul
ponte come avremmo dovuto fare se avessimo scelto l'altra compagnia,
tralaltro pagando il viaggio senza cabina addirittura di più.
Un australiano dai spiccati lineamenti orientali entra con noi, rivelando di
essere il nostro compagno di stanza: è molto discreto e non dà mai fastidio,
così come noi non ne diamo a lui. Non vogliamo rimanere troppo a lungo in
quel container claustrofobico, la nave è troppo grande e piena di sorprese
per non essere esplorata da cima a fondo. Il panorama che si ammira dal
dodicesimo e ultimo piano, ovvero il ponte protetto quasi ovunque da
ringhiere ricurve che impediscono agli aspiranti suicidi di buttarsi di
sotto, è eccezionale: vediamo buona parte delle insignificanti isole che
riempiono la baia di Helsinki, incluse quelle a casa singola, davvero buffe.
Il settimo piano invece è dotato di ogni comodità e negozio possibile e
immaginabile: c’è perfino un negozio "tax free" in cui non si paga l'IVA sui
prodotti, istituito apposta per i turisti. Lì si possono comprare merci a
metà prezzo o anche meno, come le bottiglie di vodka pura da due litri fatte
pagare come quelle da 70 centilitri che vediamo nei nostri supermercati. I
pacchetti di caramelle sono come minimo da mezzo chilo l'uno, sempre a
prezzi stracciati. Cediamo al peccato di gola comprando una confezione di
dieci barrette al cioccolato al caramello, ad un prezzo mai visto prima. Il
massimo dell’esagerazione si raggiunge con i chupa chups da 180 grammi,
praticamente delle clave. Ma non è certo finita qui: nella nave ci sono
uffici di cambio soldi, negozi di vestiti d'alta moda, ristoranti
costosissimi. Notiamo anche una bacheca sulla quale sono appese tutte le
foto che ci sono state fatte alla partenza: troviamo anche le nostre! Le
preleviamo subito senza informarci se fossero a pagamento o meno, vedendo
che così fan tutti. Il piatto forte però arriva soltanto alla sera: non
possiamo certo perderci una serata al casinò che campeggia in bella vista in
fondo al corridoio con la sua grossa insegna luccicante.
Gioco d’azzardo
Il notevole fascino del gioco d’azzardo fa sì che sia molto difficile
smettere di giocare una volta iniziato: di venti centesimi in venti
centesimi, alla coloratissima macchinetta del videopoker, ci promettiamo
ogni volta un tetto massimo di spesa oltre il quale non andare. Tale tetto
viene però ridefinito continuamente, schiacciato dall'eccitazione e dalla
voglia di rischiare di più. Ci rendiamo conto di quanto sia pericoloso
lasciarsi tentare da questo tipo di giochi, se già con pochi centesimi di
euro è difficile darsi un freno. Avendo conosciuto personalmente gente che
si è rovinata col gioco d'azzardo, l'effetto che mi fa è ancora più forte.
Dall'altra parte della sala, due croupier stanno decidendo le sorti di
accaniti giocatori, soprattutto giapponesi, al black jack e alla roulette.
Le loro dita sciolte manipolano abilmente le carte distribuite una alla
volta e lentamente scoperte sotto gli occhi ansiosi di chi ha puntato. I
soldi giocati sono appena stati fatti sparire, talvolta per sempre,
inghiottiti in apposite buche nel tavolo verde. La pallina lanciata senza
sbavature in direzione contraria al senso di rotazione della roulette
decreterà presto se i portafogli dei giocatori si alleggeriranno o
appesantiranno a fine serata, in un tiro della sorte completamente
imprevedibile e per questo estremamente tentatore. Banconote da dieci,
venti, cinquanta euro passano continuamente sotto il nostro naso fin nelle
mani dei croupier, dall'espressione di ghiaccio completamente indifferente a
tutto quel movimento di soldi e a quella febbre del gioco. È affascinante
guardare queste scene di tensione silente, esplosa talvolta in contenuti
gesti di stizza e di rammarico per le centinaia di euro appena buttate via,
talvolta in gioiosi abbracci per le cospicue vincite ottenute. Nessuno
purtroppo sta giocando al poker con le vere carte, a cui avremmo assistito
molto volentieri, da cui torniamo ad aggirarci nei dintorni delle
macchinette in cerca d’avventura. Un videopoker vuoto da qualche minuto
attira la nostra attenzione: ha un bottone rosso lucente, che normalmente è
spento. Schiacciamo quello che è il pulsante di recupero ora illuminato,
solo per curiosità, e magicamente scendono cinque monete da un euro. Ci
guardiamo increduli: com'è possibile che le abbiano lasciate lì? Le
prendiamo mettendole in tasca senza dare nell'occhio e passiamo alla
macchinetta successiva, anche lei col pulsante di ritorno del credito
stranamente illuminato: altri tre euro guadagnati senza sforzo. Da quel
momento in poi non facciamo altro che aggirarci come avvoltoi tra le slot
machine, cercando qualche monetina dimenticata da poter puntare.
Approfittiamo di quell'insperata vincita per giocarcene una parte,
stabilendo però un tetto massimo invalicabile da non superare per nessun
motivo, stavolta rispettato. A volte puntando venti centesimi, altre volte
quaranta, si perdono un po’ di soldi e poi se ne riguadagnano il triplo, per
poi perderne il quadruplo. Un andatura altalenante che ogni volta che sembra
stia per finire in realtà ricomincia in modo del tutto inaspettato, vincendo
cinque volte tanto dopo che l'ultima monetina utile è stata puntata. Come
era prevedibile, in finale perdiamo tutto quello che abbiamo deciso di
puntare, ma riusciamo ancora a recuperare altri due o tre euro, lasciati
direttamente nel piatto metallico sotto le macchine da qualche distratto
utente che si è dimenticato di riprendersi i suoi spiccioli.
La mezzanotte è passata da un po’, e si vedono le prime scene di palese
ubriachezza: un finlandese piuttosto pingue, con i capelli biondi a
spazzola, sta dormendo beatamente a sghimbescio sulla sua sedia. Il suo
bicchiere di Bailey's è ancora pieno fino all'orlo, e il suo compagno sta
tentando inutilmente di svegliarlo battendo sempre più forte col bicchiere
sul tavolo, senza però darsi troppa pena per il fallimento della missione.
Il ragazzone viene poi svegliato in qualche modo da altri finlandesi che
scuotendolo e incitandolo riescono perlomeno a farlo rimettere seduto
dritto, ma non vorrei essere tra quelli che poi tenteranno di farlo alzare.
Altri individui poco raccomandabili cominciano ad aggirarsi nei dintorni, da
cui vista anche l'ora tarda decidiamo di uscire dal casinò e tornarcene in
cuccetta. All'entrata dei nostri corridoi vediamo un altro finlandese
collassato sul fondo delle scale, completamente ubriaco, poi un altro in
piedi con la faccia rossa come un peperone e l'espressione stranita che ci
fissa dall'imboccatura del nostro corridoio. Prudentemente deviamo per la
strada più lunga, per evitare di passargli davanti. Riusciamo a raggiungere
la nostra camera senza essere aggrediti da ubriachi vaganti, la banda
magnetica fa un po’ di bizze prima di consentirci di entrare, ma alla fine
pulendola bene con i fazzoletti la tessera fa il suo dovere e siamo
finalmente al sicuro.
Stoccolma
E' impossibile capire che ore sono, se non si esce da quella cabina o non si
ha un orologio: la totale assenza di finestre è un po’ fuorviante,
potrebbero tranquillamente essere le quattro di mattina come le due di
pomeriggio col sole altissimo nel cielo, e non ce ne accorgeremmo
ugualmente. In piena notte mi sveglio sentendo degli strani rumori: tendo
l’orecchio per capire cosa siano quegli scricchiolii e quei suoni di paratie
che paiono aprirsi e chiudersi. La nave sembra essersi fermata: scopro ora
che a metà notte la nave effettua questo scalo alle isole Åland, poste a
metà tra Helsinki e Stoccolma. Guardo l’orologio: sono più o meno le tre. Mi
riaddormento subito dopo, senza più preoccuparmi dei rumori della nave. Alle
otto ci svegliamo tutti e due con la sveglia che suona insistentemente, e
presto ci leviamo dalle piccole ma comode brande per fare una veloce
colazione prima di scendere dalla nave, che di lì a poco sarà a
destinazione. Una volta mandato giù qualche biscotto e due sorsi di succo,
la nostra abituale ed ormai odiosa colazione, facciamo un'altra veloce
ispezione nella zona del casinò, sperando che sia ancora aperto per
raccogliere i frutti di un'intera notte di gente che ha lasciato monetine
nei videopoker. Come immaginato, è tutto chiuso. Nelle macchinette sul largo
corridoio centrale però rinveniamo ancora qualche centesimo, subito giocato
e logicamente subito perso, prima di veder campeggiare la scritta "Fuori
servizio", annunciata da un rumore tremendo della macchinetta stessa.
Probabilmente si sono dimenticati di spegnerla la sera prima, dato che è
l’unica funzionante. Soddisfatti di quest'ultimo raid mattutino, recuperiamo
tutti i bagagli e ci apprestiamo a seguire la marea di gente che si sta
ammassando alle uscite, tutti in attesa di visitare questa città così famosa
e lungamente descritta come una splendida capitale nordica. L’australiano
nostro compagno di stanza ci saluta augurandoci buona fortuna, ricambiamo e
lo vediamo sparire lungo una rampa di scale.
Prima che possiamo rendercene conto la nave ha già attraccato al porto di
Stoccolma: siamo tornati in Svezia. Ripercorriamo i corridoi sospesi
velocemente per raggiungere la nostra metrò, la famosa Tunnelsbana. Molto
decorata e ricca di vetrine con esposizioni artistiche, un misto tra una
metropolitana e un museo! Il tunnel però non ci esalta, in quanto l'arrivo è
piuttosto caotico e stressante: la città e in particolare la metrò sono
affollatissime, fa abbastanza caldo e intercettiamo continuamente passeggini
che ci sbarrano la strada e ci rallentano pesantemente incastrandosi
dappertutto, specialmente ai girellini della metropolitana. Chiedendoci come
sia possibile che tutta questa gente abbia così tanti figli piccoli e se li
porti sempre in giro, prendiamo il primo treno diretto alla zona del centro
storico, famosa per la sua densità di edifici antichi e dall'indiscutibile
fascino. L'isoletta di Gamla Stan, il vero nucleo centrale della città
risalente al Medioevo, è colma di edifici sontuosi come la chiesa mortuaria
di Riddarholmen, la cui svettante ed appuntita guglia di ferro tocca la
ragguardevole altezza di novanta metri. Lastricata internamente di pietre
tombali che ospitano i resti di tutti i re svedesi fino all'epoca
contemporanea e con stampigliati sulle pareti tutti gli stemmi e trofei dei
cavalieri dell'ordine dei Serafini, dà proprio l'idea di un luogo di eterno
riposo. Poi viene la monolitica Residenza Reale, l'edificio più importante e
rappresentativo di Stoccolma. È la vecchia abitazione dei re, che però
vediamo solo dall'esterno, giallognola e squadrata. La città ha alle spalle
una grande storia, e questo quartiere ne è la dimostrazione. Una carrozza
trainata da cavalli che sta passando proprio in quel momento in mezzo alla
piazza contribuisce ad aumentare l'aria di medioevo che aleggia densa
attorno a noi.
Ammirati da questo quartiere così particolare, proseguiamo la nostra visita
verso il gigantesco municipio, con un'alta torre che domina il mare appena
adiacente. Riusciamo a salire in cima dopo un'ora intera di coda, estenuante
la lentezza con cui si susseguono i turisti: si può entrare solo in
pochissimi alla volta. Il panorama dalla cima comprende tutta la città, ben
visibile in tutta la sua grandezza di maggiore capitale nordica, nonostante
il tempo non sia esattamente soleggiato. Ci aspetta poi la visita all’enorme
Palazzo Reale, dove dei soldati vestiti di verdognolo con gli stivali
bianchi stanno pronunciando ordini in lingua incomprensibile, comandando il
cambio della guardia e marciando a passo sicuro mentre nutrite schiere di
turisti osservano curiose. L'ingresso dei quattro musei lì ospitati è
presieduto da una guardia solitaria, armata di fucile a baionetta, che ha
l’ordine di non muoversi nè parlare. Nonostante ciò un turista sta
intavolando con lui una specie di conversazione, nella quale però le
proporzioni sono fortemente sbilanciate: la guardia si limita a rispondere
con qualche parola seccata, trasgredendo agli ordini per la disperazione,
mentre il curioso e logorroico importuno non accenna proprio a smettere di
fare domande. Deve essere già particolarmente noioso stare ore e ore in
piedi senza potersi muovere, in balia di qualsiasi condizione atmosferica e
senza nemmeno poter andare al bagno, se poi si aggiungono anche le seccature
dovute ai turisti, è il colmo. L'interno del palazzo è magnifico: le stanze
sono enormi, spaziose, riccamente decorate con ogni genere di affresco e
statue bronzee incastonate negli spigoli delle pareti che sembrano tenersi
alle due travi d’angolo. Ve ne sono quattro, a formare un cerchio che
abbraccia tutta la stanza. Tanta ricchezza è impressionante, tutto questo
sfavillare d'oro quasi abbaglia la vista.
Nei sotterranei possiamo ammirare delle corone e spade tempestate di
diamanti e pietre preziose in ogni centimetro quadrato, oggetti straordinari
dall'altissimo pregio, che osserviamo senza pronunciare parola. Finita la
visita ai ricchissimi musei, è tempo di visitare altri gioielli, come la
cattedrale di Storkyrkan. I suoi colonnati sono in mattone rosso a strisce
biancastre che sorreggono le tre lunghe navate, mentre spicca il maestoso
altare argentato con la consueta e splendida vetrata colorata circolare
sulla cima. Perla finale è la complessa e finemente rifinita statua
rappresentante la lotta tra San Giorgio e il drago, terminatasi con la
sconfitta di quest'ultimo secondo la leggenda raccontata dai tempi delle
Crociate, simbolo dell'eterna lotta tra bene e male. Finisce qui la prima
parte della scorpacciata di storia e cultura locale che troviamo in questa
affascinante città, per occuparci di cose più banali, come cercare un posto
dove poter mettere qualcosa sotto i denti senza essere sorpresi dalla
pioggia che continua ad andare e venire, senza mai lasciare il cielo
sgombro. A complicare le cose ci si mette anche il vento freddo che spira
dal mare, portando più nuvole invece di spazzar via quelle presenti. L'unico
posto tranquillo e riparato che ci viene in mente per mangiare in santa pace
è la stazione centrale dei treni, non avendo ancora un ostello disponibile.
Dovremo raggiungere il primo alloggio alla sera, cambiando un treno e un
bus, in una zona molto fuori Stoccolma. Tutto sperando che il codice
elettronico comunicatoci per telefono dal gestore, causa chiusura della
reception nel weekend, sia funzionante e ci permetta davvero di entrare.
Accantonata temporaneamente la preoccupazione e riempito lo stomaco,
ripartiamo per una visita nelle vie del centro, in particolare nel
lunghissimo viale dei negozi, dove se ne vedono davvero di ogni: prima tappa
è il negozio di articoli rock che subito puntiamo e setacciamo da cima a
fondo con estremo interesse, per trovare qualcosa che soddisfi la nostra più
o meno forte “fede” metallica. Poi tocca ai negozi di souvenir dove prendere
le presine ricordo per la madre rimasta a casa, fino ai negozi di vestiti
ordinari e ai ristoranti tipici italiani, da noi pesantemente snobbati visti
i loro prezzi astronomici. Non vogliamo certo spendere chissà quanti soldi
per mangiare una banale pizza che solo pochi giorni dopo avremmo potuto
gustare di nuovo a metà prezzo in terra d'origine. Per quanto riguarda il
vestire, i pantaloni che abbiamo indosso ormai da venti giorni sono più che
sufficienti.
Le strette viuzze centrali, con qualche guglia che spunta all'improvviso
altissima da dietro un caseggiato che fino a poco prima ne ha nascosto la
vista, sono un piacere da percorrere, nonostante la stanchezza delle gambe.
Ci concediamo un altro momento di riposo sui gradini di una statua nella
piazza adiacente al golfo, dove dall'altro lato è ormeggiato l'Af Chapman,
il vecchio vascello a vela ormai trasformato in ostello. Non sarà il nostro:
avremmo dovuto prenotare come minimo due settimane prima per trovare posto!
Proseguendo troviamo un concerto rock in atto con una band che sta suonando
presumibilmente dei pezzi propri, dato che non conosco nessuna delle canzoni
che stanno suonando, e questo genere musicale lo mastico abbastanza bene.
Sono bravi, ma la gente è troppa e non c’è un posto dove poter stare
tranquilli, al che ci spostiamo in un’altra zona. A poche centinaia di metri
scopriamo che c’è l’Opera all’aperto, sotto un tendone, con l’orchestra che
intona il “Và pensiero”: perfino in Svezia sentiamo cantare italiano! Il
direttore d’orchestra si affanna con la sua bacchetta, piegandosi e
facendola volteggiare qua e là senza sosta mentre i musicisti, visibilmente
concentratissimi, eseguono i loro pezzi in modo magistrale. Applausi
scroscianti.
Tumba
Finita l’aria, proviamo a buttarci in un’altra strada, decisamente
affollata: un concerto di dimensioni enormemente più grandi si sta
preparando, non sappiamo chi dovrà suonare ma dall’aspetto dei milioni di
ragazzini che si sono riversati in strada possiamo capire che sarà qualche
plastificato idolo del pop o qualcosa di simile, che non ci attira per
niente. Spintonando e sbuffando riusciamo a liberarci dalla calca nella
quale imprudentemente ci siamo addentrati, e una volta faticosamente liberi
constatiamo che è tardi e ormai i musei sono tutti chiusi. Si sta facendo
sera, siamo stanchi e dobbiamo pensare a come raggiungere i nostri giacigli
per la notte: meglio muoversi, dovendo fare non poca strada. Alla stazione
centrale non viene accettato il biglietto interrail per la tratta fino a
Tumba, dove si trova il nostro alloggio, presumibilmente perchè non lo
conoscono o perchè non hanno ancora aderito all'iniziativa. Ci sembra strano
e vorremmo protestare ma non abbiamo molta scelta, dobbiamo fare i biglietti
velocemente perchè tra pochi minuti il treno partirà senza di noi. Sei euro
per una tratta di venti minuti, quando potevano essere gratuiti, sono
seccanti, ma lasciamo correre. Tumba è un altro paese un po’ come Luleå,
sperduto nella campagna svedese, e del quale non conosciamo nulla, se non
poche informazioni confuse dateci per telefono dagli ostellanti. Venti
minuti di treno, col rosso tramonto visibile dai finestrini di sinistra.
Purtroppo le costruzioni su ogni lato della ferrovia non ci permettono di
apprezzarlo al meglio. Appena scesi possiamo subito vedere l'autobus numero
708 che sta facendo il giro della piazza per posizionarsi sul suo spazio,
pronto a caricare i passeggeri: è uno di quelli che possiamo prendere per
arrivare in zona ostello. Un'altra corsa forsennata, per arrivare giù mentre
stanno salendo le ultime persone, per sentirci rispondere dal nero autista,
per giunta in italiano: "Qui non si fanno biglietti". Scornati e maledicendo
quell'autista così impietoso, anche se non è colpa sua se non possiamo
salire subito, ritorniamo sul sovrappassaggio per cercare un punto che venda
biglietti dei bus. Si comprano nello stesso punto da cui siamo passati
uscendo: anche qui l'interrail non ha alcun effetto per ridurci le tariffe,
e dobbiamo pagare l'esorbitante cifra di diciotto euro per un tragitto di
pullman della durata sì e no di un quarto d'ora.
Decisamente arrabbiati per la fregatura presa, dato che con tutti quei soldi
in più spesi avremmo potuto dormire in un albergo per giunta in pieno
centro, scendiamo con passo svelto per aspettare l'autobus. Speriamo che
come minimo quel biglietto valga anche per il ritorno, dato che è stampato
su entrambi i lati. L'autista che arriva venti minuti dopo è molto più
gentile e disponibile, timbra il biglietto in corrispondenza del secondo
riquadro (su sedici totali, ma noi non abbiamo assolutamente chiesto un
abbonamento!), e ci rassicura di essere sull'autobus giusto. La nostra
fermata è in un posto che definire isolato è un eufemismo: dobbiamo scendere
in una rientranza di un lunghissimo stradone dritto con alberi e campagne ad
entrambi i lati, e pochissimo altro, se non fosse per un enorme cartello che
segnala un ostello della gioventù sulla sinistra. Il simbolo della casetta e
dell’abete è inequivocabile. L'autista ci dà addirittura indicazioni su come
arrivare, ci profundiamo in ringraziamenti e ci mettiamo in cammino, ancora
imprecando per la situazione in cui ci siamo andati a cacciare. Di nuovo ci
viene il dubbio: e se per caso il codice, datoci sottoforma di indovinello
calcistico dalla simpatica ragazza che aveva preso la nostra telefonata, non
sia valido per entrare? Meglio non pensarci. Davide indovina subito il punto
in cui tagliare a sinistra, e di lì a poco scopriamo che l'ostello è parte
di un camping molto ben organizzato e composto da decine di edifici, tra cui
ristoranti, parchi di divertimenti e chissà cos'altro che non possiamo
vedere bene data l'ora tarda. Seguendo le indicazioni arriviamo ad una
costruzione un po’ dismessa, ma tutto sommato di aspetto invitante, con la
fatidica tastiera sullo stipite della porta per digitare il codice. Primo
numero valido, secondo e terzo validi...quarto valido, la serratura
lampeggia di verde e possiamo entrare. Appesa nell’anticamera notiamo subito
una busta con scritto un sorprendente "Welcome!" seguito dal mio nome. Tale
busta contiene le chiavi della camera e le istruzioni su come pagare,
lasciando il mio numero di carta di credito, che verrà registrato e
utilizzato lunedì quando riaprirà la reception. In quale altro Paese si
fiderebbero a fare una cosa del genere? Chiunque potrebbe tranquillamente
lasciare fin dall'inizio un numero di telefono falso, dormire abusivamente
ed andarsene senza pagare! Ma evidentemente qui nessuno lo fa…
La camera è riservata per noi, ben riscaldata e pulita, il che ci ripaga in
piccola parte della scarpinata e dell'esorbitante costo del biglietto che
ancora non sappiamo se si duplichi per il ritorno. Ci incoraggia il pensiero
che probabilmente non lo dovremo rifare, non esistendo quasi certamente
nulla nelle vicinanze in cui si vendano biglietti. Una veloce ottimizzazione
dei bagagli e del cibo per potersene andare quanto più velocemente possibile
la mattina seguente, poi ci infiliamo sotto le coperte. Io da incosciente mi
copro solo col lenzuolo trascurando il piumone, convinto che faccia già
abbastanza caldo: grave errore di cui pagherò le conseguenze, svegliandomi
l’indomani con un incipit di raffreddore.
La barca ostello
I terribili biscotti alla menta e cioccolato comprati il giorno prima volano
ancora incartati tra i rifiuti dopo pochissimi morsi, sono immangiabili. Ce
ne andiamo curandoci di non lasciare lì nulla, per nessuna ragione al mondo
vogliamo tornare in quel posto. Gli autobus, come abbiamo avuto modo di
vedere la sera prima, passano molto spesso anche la domenica, per cui non ci
preoccupiamo troppo degli orari. Ad aspettare il bus, su quella fermata in
mezzo al niente, siamo solo noi due, infastiditi da un vento forte e
continuo, e dall'attesa che comincia a farsi lunga. Abbiamo pensato anche a
come cavarcela nel caso in cui il nostro biglietto venisse rifiutato:
avremmo prima di tutto fatto gli gnorri, fingendo di aver ricevuto
informazioni sbagliate sulla sua validità, per poi tentare di impietosire
l'autista, al massimo sfoderando l'improbabile arma segreta: il qui
misconosciuto biglietto interrail. Per fortuna non è necessario niente di
tutto ciò: l'autista timbra il quarto spazio, lasciando il terzo
inspiegabilmente vuoto così come quello della scorsa sera ha lasciato vuoto
il primo, e ci lascia salire senza dire una parola. In tutto, la bellezza
ventotto euro solo per il trasporto. Un furto.
Ora è tempo del trasferimento bagagli al nuovo ostello, stavolta non
lontanissimo dal centro della città: dopo una fermata di metrò arriviamo
nella via in cui dovrebbe essere, ma il suo numero civico non esiste.
Un'indicazione lo dà sulla destra, dove non c'è assolutamente nulla: si vede
solo una vaga rimessa per auto con subito dopo l'entrata di un parcheggio
coperto. Piove, fa freddo e ci stiamo irritando notevolmente per queste
informazioni così fuorvianti. Dopo aver girato in lungo e in largo cercando
questa fantomatica via, ed aver raggiunto il colmo della frustrazione,
chiediamo aiuto ad un ragazzo che sta passando: dove diavolo è questo Red
Boat House? Risposta: esattamente dalla parte opposta che pensiamo! Non
abbiamo idea di che posto sia, dal nome possiamo intuire che abbia a che
fare con le barche, e una volta raggiunto dopo pochi minuti di camminata
scopriamo che è proprio una barca! Un vecchio battello da pesca abbastanza
grazioso, con la cassaforte dei bagagli in legno appena davanti al ponte di
collegamento, sulla quale cresce l'erba sul tetto come nel villaggio di
Oslo. Non sarà l’Af Chapman, ma è comunque una nave, quindi una cosa nuova!
Solo questo salva l’ostello dalla nomina di uno tra i peggiori visitati:
apparentemente carino fuori, ma dentro decisamente disagevole. Le scale per
scendere al piano inferiore, dove si trova la camera a noi assegnata, sono
ripidissime, strette e pericolosamente scricchiolanti. C'è un unico
orinatoio per tutta la nave, munito di lavandino, mentre l'altrettanto unica
tazza, in un altro bugigattolo, ne è invece priva. Che senso ha non metterlo
proprio dove ce n'è più bisogno? Sorvoliamo su questo dettaglio e parliamo
delle docce, praticamente aperte, l'unica privacy è data dalla tenda che si
può tirare, ma non esiste porta: di conseguenza, praticamente nessuno in
quell'ostello fa la doccia, tantomeno noi. La camera è l'apoteosi: due letti
a castello in uno spazio che definire claustrofobico è un complimento, chi
dorme sopra non ha nemmeno una scaletta per arrampicarsi ma solo un vago
gradino completamente liscio ed inclinato a 45° che risulta completamente
inutile. Oltretutto, una volta arrivato in cima lo sventurato può a malapena
girarsi nel letto: lo spazio tra materasso e soffitto è così ridotto che
scendere diventa un problema, non potendo gettare il peso in avanti. Per non
parlare di quando l’occupante tenta di sollevare il busto, può farlo al
massimo per una ventina di centimetri prima di battere il capo
sull'irregolare soffitto intonacato in modo a dir poco grezzo. Gli oblò sono
microscopici, tenuti costantemente chiusi dalla coppia di francesi che
alloggia con noi: così facendo viene completamente azzerato il ricircolo
d'aria e peggiora notevolmente la situazione delle mie cavità nasali, che
tra non molto presenteranno il loro conto da pagare.
I musei
Sistemati gli zainoni negli unici vani della piccolissima camera in cui
riescono a passare, ce ne andiamo preparandoci ad una intensa (e mentalmente
faticosa) giornata di visite culturali: abbiamo ben tre musei da visitare.
Il National Museum, un altro di arte moderna e, dulcis in fundo, il famoso
museo del vascello denominato Vasa Museum. Il primo è il più classico,
dedicato a quadri ed oggetti di uso comune dal primo Novecento agli anni
Settanta, incluse delle macchine da scrivere che mi fanno venire una gran
voglia di usarle come facevo molti anni fa per stendere i miei primi timidi
pensieri da bambino decenne. Notevoli anche gli splendidi orologi intarsiati
con metalli preziosi di ogni forma e colore, una delizia per gli occhi. Il
secondo museo è un insieme di arte astratta e bizzarra ma che lascia
intravedere significati nascosti molto profondi, in particolare di un'opera
che mi colpisce moltissimo: un insieme di centinaia di foto di persone
comuni, prese dalla strada, appese sul muro a formare un collage. Sotto
tutte queste fotografie, altrettanti fogli di carta con stampata la
descrizione di ognuna: c'è la persona che ha appena perso l'aereo pagato
profumatamente perchè le indicazioni del centro turistico erano sbagliate,
l'ex alcolista affidato agli assistenti sociali che ogni mattina passano a
recapitare la busta con il cibo senza suonare il campanello perchè hanno
paura di lui, l'uomo a cui hanno appena tolto il rene sbagliato, la donna
che ha appena perso il figlio in un incidente stradale, lo studente a cui è
stata rifiutata la tesi preparata in due faticosi anni, la ragazza che ha
scoperto solo dopo sposata di essere sterile, e così via per centinaia di
pietose situazioni tutte apparentemente slegate tra loro, ma con un
denominatore comune: l'impietosa varietà delle sofferenze che si possono
provare e soprattutto l'incomunicabilità della condizione umana, dove ognuno
è abbandonato a se stesso senza che il resto del mondo si curi di lui.
Ognuno deve portarsi il suo fardello in silenzio senza poter contare
sull'altrui comprensione, che non arriverà mai ad essere totale.
Il vascello
Il terzo ed ultimo museo contiene un'enorme vascello del diciassettesimo
secolo ancora quasi completamente intatto, lungo almeno settanta metri. C’è
da rimanere senza fiato ad osservare le sue statue di legno incastonate a
poppa, le reti su cui i marinai si arrampicavano per arrivare in cima
all'albero maestro a fare da vedette, i paurosi fori quadrati sulle fiancate
da cui i marinai nemici si vedevano spuntare le bombarde, nel terrore più
puro. Ci sono più di dieci piani su cui salire, da ognuno si vede la nave in
un’ angolazione diversa e sempre più suggestiva, finchè dalla cima si può
ammirare in tutta la sua stupenda grandezza. Come abbiano fatto a
trasportare questo mostro e rinchiuderlo entro quattro mura, è un vero
mistero. Ai lati ci sono tutte le rappresentazioni in miniatura della nave e
delle sue stanze, rendono abbastanza bene l’idea ma preferiamo osservare la
nave vera e propria. Non ci si può salire sopra per ovvi motivi, ma non è
necessario: dall’altro lato si può vedere il ponte a brevissima distanza, e
ancora una volta mi sembra di essere in una scena di Capitani Coraggiosi.
Come il libro, anche questa splendida nave davanti ai miei occhi riesce a
farmi sognare per qualche minuto.
Raffreddore
Le mie elucubrazioni mentali vengono interrotte quando sento un saporaccio
in fondo alla gola che so bene essere il preludio di un raffreddore forte.
Deve proprio scoppiare adesso, non può ritardare di qualche giorno,
accidenti? La sera torniamo a rintanarci prima apposta, per evitare di
ammalarmi troppo. Metto in atto appena arrivato in ostello le mie misure
preventive sempre molto efficaci per ridurre la potenza del malanno
incipiente o già conclamato: bere tantissima acqua per accelerare lo
smaltimento delle tossine e stimolare la circolazione nelle zone infiammate,
sopportando l'effetto fastidioso che ha sulla gola malata. In ogni caso è
meglio evitare il più possibile gli antinfiammatori come l'aspirina, ricchi
di effetti collaterali potenzialmente anche gravi, così come tutti i
medicinali in generale, che è sempre meglio scansare fino a quando proprio
non se ne può più fare a meno. La cura funziona: il naso inizia a colare un
po’ meno e mi sento fiducioso di poter stare bene domani. In qualche modo,
nonostante il naso chiuso e il continuo fastidio del soffiarselo, riesco a
prendere sonno.
In un orario imprecisato attorno alle due di notte mi sveglio col naso
stavolta completamente chiuso, da non riuscire più a respirare se non con la
bocca, e questo fa crollare un po’ di miei propositi per il giorno che
viene. Rimango un po’ seduto per cercare di riaprirmi le narici, con un
discreto successo, finchè non riesco a riaddormentarmi. Alle sei mi sveglio
di nuovo, questa volta definitivamente. Maledico il virus che mi ha ridotto
in questo stato, e questa volta sto seduto più a lungo, per evitare che il
muco scenda per gravità verso la gola. Mi accorgo del caldo soffocante che
c'è nel nostro angusto ambiente: i due francesi hanno lasciato entrambi gli
oblò chiusi, con le tendine tirate che lasciano passare pochissima luce,
vorrei alzarmi per aprirli ma non voglio suscitare reazioni nel caso si
svegliassero. Posso resistere, inoltre quel calduccio mi fa bene, se non
altro il naso non mi cola. Mano a mano che sto seduto, ascoltando il rumore
del respiro dei miei compagni di stanza e cercando di aprirmi il naso il più
possibile, mi torna un po’ di sonno, ma non cedo alla tentazione di
sdraiarmi di nuovo: se mi riaddormentassi, all'ora della sveglia alle otto
avrei il naso completamente intasato e sarebbe una tortura andare in giro in
quelle condizioni. Così rimango seduto e mi immergo nei miei pensieri, che
nelle due ore che passano prima che Davide si svegli spaziano davvero
dappertutto: mi rendo conto che nonostante tutte le difficoltà io sono
ancora lì, piegandomi ma non spezzandomi. Mi sento strano, come sospeso in
un'altro stato di coscienza, a metà tra il sognante e il malinconico, ma con
un enorme fondo di felicità che mi pervade da capo a piedi nonostante le
pietose condizioni del mio apparato respiratorio. La vacanza ormai sta
finendo, oggi è il nostro ultimo vero giorno di interrail, è stato tutto
splendido e denso di emozioni completamente nuove, ma tra poco sarà tempo di
tornarsene a casa e riprendere la vita normale, con i suoi pro ed i suoi
contro.
Perdendomi in questi pensieri il tempo passa molto velocemente: alle otto,
come previsto, il mio compare si è svegliato, insultando vivacemente i
vicini di letto per l’ambiente asfissiante da loro creato. Abbandoniamo la
fornace di caldo e sudore il più velocemente possibile.
Heavy metal
La pioggerellina, lieve ma costante, non ci risparmia nemmeno oggi: le
speranze di passare almeno l'ultimo giorno di visita con il sole crollano
definitivamente, una volta usciti all’aria aperta e dato un occhio al cielo
quasi interamente coperto da nuvoloni larghi e grigiastri. Dopo una veloce
colazione sulle scale di pietra vicino alla strada, ci concediamo un
rilassato un giro panoramico in una zona sopraelevata della città da cui si
vedono benissimo spuntare tutti gli edifici storici. Poco distante si trova
la chiesa di Santa Sofia: un grazioso luogo sacro con le panche disposte a
semicerchio attorno all'altare, dove assorbiamo un po’ di benefico calore e
approfittiamo per meditare ancora un po’ sulle nostre odierne sorti.
L’unica cosa che ci rimane da vedere di Stoccolma è il Globen, dall’altra
parte della città. Si tratta di un’enorme costruzione sferica, bianca e
reticolata, la più grande costruzione a forma di globo del mondo intero.
Ospita molti negozi al suo interno (circa centocinquanta!), in un centro
commerciale enorme che usiamo solo per mangiare i nostri panini al formaggio
spalmabile, individuata per pura fortuna un’unica panchina libera. Nulla di
più da vedere: tra tutti quei negozi non ce n’è nemmeno uno di articoli rock
o di qualcosa che ci possa stuzzicare la fantasia, da cui ci rimane
solamente da ripercorrere il vialone centrale, dove potremo comprarci
qualcosa che ci ricorderà per sempre questo viaggio. La scelta cade sulle
magliette che raffigurano le effigi delle nostre band metalliche preferite,
simbolo di appartenenza ad una cultura musicale così spesso sottovalutata ma
più vasta e nobile di quanto comunemente si creda. Una volta individuate
quelle giuste, ignorando beatamente il prezzo leggermente elevato,
finalmente ci togliamo anche quest’ultima soddisfazione. Curiosando un po’
nei vari negozi del viale troviamo in vendita veramente di tutto: è
divertente confrontare i prezzi e pensare a quante stupidate siano in
vendita per non pochi soldi, come le orribili statuette dei troll delle
quali gli scaffali fortunatamente non si svuotano mai dato che non le compra
praticamente nessuno. Ormai sufficientemente soddisfatti e stanchi da non
voler strafare, ci liberiamo da qualsiasi impegno per quel che resta della
giornata, complice anche il mio naso che sta ricominciando a colare
violentemente sotto l'effetto del vento e del freddo. Convinco Davide a
tornare presto in ostello, non riesco più a controllare le mie secrezioni,
mi sento la febbre e sto consumando fazzoletti uno dopo l'altro. Il
calduccio mi cura nuovamente, fino a scivolare in un sonno leggero.
L’indomani prendiamo il treno per l’aeroporto di Arlanda, ormai la nostra
odissea è finita. Ci rivediamo sul prossimo treno, destinazione ignota.
Daniele